Iniziamo con le loro mogli o compagne di vita. Le loro storie sono veramente tragiche e commoventi. Si sentono come persone cadute in una trappola da cui non riescono più ad uscire. La maggior parte di loro non erano coscienti di sposarsi con un criminale: chi lo era, non sapeva bene che cosa significasse convivere o sposarsi con uno di loro. Queste donne ora sono come dilaniate da due possibilità: o denunciare i loro mariti o tacere e diventare compartecipi.
Wanjiru che vive in Dandora ha accettato di stare col marito che continuamente la picchia e la minaccia di morte, per sua mano o tramite la gang dei suoi compagni, nel caso lei lo accusasse. Njoki, che ha cercato di scappare e di andare alla polizia, è stata raggiunta dal marito che, una volta riportata a casa, l’ha picchiata e lasciata in balia degli altri, che a turno l’hanno violentata fino a farla svenire. Ora è a casa fuori di testa, consumata dal dolore, e dal terrore che qualche cosa di più violento le accada.
Gertrude confessa che “è molto difficile distinguere i membri Mungiki. Essi sono vestiti bene, e la loro apparenza li presenta come persone decenti e ricche. Quando uno di loro si avvicina ad una ragazza e la vuole per sé, normalmente essa non percepisce chi è colui che la sta seducendo e mai sospetta che sia un criminale, finché… è troppo tardi”. Chi si interessa di questi casi? Purtroppo la risposta è umiliante: nessuno! Tutti hanno paura…. Eccetto una madre la cui figlia è caduta nella trappola, ed ora soffre le pene dell’inferno.
Mrs. Asha Ali ha deciso di parlare in pubblico e di dire tutte le atrocità a cui la sua figlia è sottoposta. Ha dichiarato alla stampa: “Le nostre figlie hanno la sensazione che noi le abbiamo tradite perché non diciamo nulla riguardo le loro sofferenze, angherie a terribili timori in cui vivono continuamente. E noi madri tacciamo perché abbiamo paura delle conseguenze se parliamo. Per la paura, giriamo la nostra faccia dall’altra parte, come se la loro vita fosse una vita normale. Cosa facciamo noi quando le nostre figlie sono assalite da criminali? E quando muoiono sotto i nostri occhi, chi dobbiamo biasimare?” La Signora Asha Ali si è candidata come consigliera del comune di Dondora proprio per legalizzare e poter portare avanti la sua campagna per la protezione delle mogli dei Mungiki e la liberazione dalle loro angherie, qualora fosse necessario.
Due gruppi di persone che hanno accettato la protezione dei Mungiki, o l’hanno richiesta, descrivono situazioni del tutto impensabili, e delle paure che rendono la loro vita un inferno. Sono persone che avevano dei bisogni e credendo che i Mungiki fossero dei benefattori, si sono affidati a loro; altre persone cadute in trappola, vivono in aree dove i Mungiki hanno il potere assoluto e debbono accettare qualsiasi richiesta provenga da loro. Ecco due confessioni esemplari che rappresentano bene una situazione che accomuna migliaia di persone. Thuo Kameko è un anziano che anni fa aveva comperato un pezzo di terreno a Mathare slum per poterci vivere una volta ritirato dal suo lavoro, e aveva deciso di venderne la metà per avere qualche aiuto finanziario, perché senza pensione. Un signore si offrì di comperare tutto il terreno. Lui si rifiutò e il compratore alzò il prezzo ad un milione di shellini per allettare Thuo, il quale finì per accettare. Quando andarono a vedere la terra, c’erano cinque giovani Mungiki che dichiararono che era la loro e quindi il contratto si doveva fare con loro. Non solo, ma richiesero a Thuo di pagare 20,000 KSH perché l’avevano protetta per diversi mesi. Così Thuo si trovò senza terra, e con 20 mila scellini di debito ai Mungiki. L’unico modo di pagare fu di vendere la propria figlia ad uno di loro.
Annah Murigi Macharia ha vissuto per 49 anni nello slum di Mathare. Ne ha visti di tutti i colori: un figlio ucciso a coltellate, una figlia che scomparì una notte senza più tornare, violentata in tutti i modi, assalita da giovanastri che le rubarono i pochi soldi che aveva, ecc. Stanca di tanta violenza, chiese l’aiuto di tre giovani ben vestiti ed esternamente ben educati. Per qualche tempo ricevette l’aiuto senza alcuna retribuzione. Poi, pian piano, iniziarono a richiederle qualche cosa, il prezzo si alzò ed ora ogni giorno deve pagare ai Mungiki una tassa per proteggere la capanna, il 90% del ricavato del lavoro suo e della figlia, cibo per i loro “protettori”, ecc. Annah ha concluso: “dovremo vendere tutto e ritirarci nella campagna, sconosciute da tutti per poter vivere senza angoscia e paura”.
Un terzo gruppo nel mirino della setta sono gli autisti dei mezzi pubblici, chiamati matatu. I Mungiki si piazzano al capolinea, e chiedono agli autisti e ai loro aiutanti una percentuale per quella corsa, o tutto l’incasso. Questi finalmente si sono ribellati e la settimana scorsa per tre giorni hanno fatto sciopero bloccando tutto il traffico finché la polizia è dovuta intervenire, ma con grande terrore: la polizia stessa, infatti, è vittima della setta e molti appartenenti alle forze dell’ordine sono dovuti passare dalla loro parte per salvarsi. I primi due poliziotti furono feriti seriamente nel gennaio del 2006 e da quel momento in poi più di 15 poliziotti sono stati uccisi dai Mungiki e moltissimi sono stati i feriti. All’inizio di quest’anno, per tre giorni, a Mathare i Mungiki hanno battagliato con la polizia in una vera guerra armata. Finalmente mercoledì 28 marzo, il Parlamento ha aperto la discussione su questi fatti che si aggravano ogni giorno di più, ed hanno accusato il governo di impotenza di fronte alla setta. Il Governo ha risposto che ha già preparato un corpo della polizia specializzato nel combattere i criminali e ha tacitamente accettato la policy di “uccidere per difendere e difendersi”, inviando inoltre molti più poliziotti ai capolinea dei matatu per proteggere gli autisti e salvaguardare il loro incasso.
Alcuni dicono che è troppo tardi per queste disposizioni, e troppo poco per affrontare i membri della setta ben armati e protetti anche dalla polizia e da alcuni membri del Parlamento che si sono lamentati con il capo della polizia per il loro trattamento inumano.
Come finirà? È la domanda che milioni di Keniani si fanno, ma alla quale non sanno dare una risposta.