Verona - Convegno Ecclesiale

Published in Missione Oggi
{mosimage} Una Chiesa italiana, animata dall’anelito di essere presenza vivace ed efficace di rinnovamento, si è ritrovata a Verona per il suo quarto Convegno nazionale. Preceduto da almeno due anni di preparazione a livello organizzativo e da uno di riflessione nelle diocesi, è stato un evento di vaste proporzioni con gli oltre 2700 partecipanti, tra delegati delle diocesi e invitati.

Perfetto l’apparato organizzativo, denso il programma delle giornate, che prevedevano la solenne apertura all’Arena, le relazioni dottrinali riguardanti l’aspetto teologico-pastorale, spirituale, culturale, sociale; meditazioni sulla Parola di Dio alla preghiera iniziale del mattino, interventi dei rappresentanti di altre confessioni, una tavola rotonda, quattro laboratori, la partecipazione del Papa Benedetto XVI, la conclusione.

Collateralmente diverse possibilità di mostre, riunioni particolari di preghiera, concerto (“oratorio sacro”) appositamente preparato sul tema della risurrezione. Tra gli invitati anche una decina di missionari dai vari continenti, tra i quali Mons. Virgilio Pante per l’Africa e P. Ernesto Viscardi per l’Asia.

Tema.Tutto lo sviluppo delle riflessioni si è declinato sui quattro punti richiamati dal tema generale del Convegno: “Testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo”, con la convinzione di base che ci si deve confrontare con la situazione reale di un mondo fortemente mutato negli ultimi dieci anni in campo ecclesiale, politico, culturale e sociale ed è in continuo rapido cambiamento. La comunicazione del vangelo ne deve tener conto. Frequente è stato il richiamo a questi cambiamenti e alla difficoltà che pongono a un incontro con il vangelo. Poiché, come ha affermato il Papa: “In un mondo che cambia, il vangelo non muta”, ma si deve discernere che cosa nel rapporto con il mondo d’oggi non è “negoziabile” per i cristiani. L’interrogativo rimane aperto e va ulteriormente approfondito.
La testimonianza nei vari ambiti della vita specialmente da parte dei laici è fondamentale per dire la speranza che anima i cristiani. Al monito di Paolo VI: “il nostro mondo cerca testimoni più che maestri”, si è aggiunto l’interrogativo bruciante di Benedetto XVI: “Che ne è della nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla?”. E la comunicazione si fa non soltanto con le parole, ma in tanti modi, soprattutto con la testimonianza della vita.
La spiritualità.“Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”, diceva il card. Ratzinger a Subiaco, il 1º aprile 2005, e si è capaci, ha ribadito a Verona, di dare alla testimonianza cristiana contenuti concreti e credibili e contribuire “alla crescita culturale e morale dell’Italia”. Per farlo, ha ricordato ancora il Papa, occorre “restare”, cioè essere inseriti nella Chiesa e nella sua dimensione liturgico-sacramentale per attingere il dono dello Spirito che rende capaci di proclamare:
“Gesù Cristo è il Signore”. La nostra speranza è lui, morto e risorto. Parola chiave che suscita la speranza e la testimonianza è la Risurrezione. Frequente, quindi, è stato il richiamo alla “misura alta della vita cristiana ordinaria” (NMI): la santità, “unica misura secondo cui vale la pena essere cristiani”, fuori della quale non esistono per noi alternative praticabili (Bignardi).
Il mondo a cui portare l’annuncio del vangelo è stato visto nelle grandi problematiche e nei movimenti di pensiero che per effetto della globalizzazione investono tutti. Ma l’attenzione prevalente è stata rivolta alla situazione ecclesiale, sociale, politica dell’Italia. Scarsa la dimensione missionaria esplicita dell’andare “ad gentes”. Non vi è stato il collegamento con le proposte significative del documento programmatico dei Vescovi italiani per questo decennio che vedono l’ad gentes come il “paradigma”, il “costante orizzonte” a cui richiamarsi e ispirarsi per il rinnovamento dei metodi pastorali. I più chiari riferimenti a questo sono venuti dal sindacalista Pezzotta e… dal Papa.

Il primo ha ribadito – se non unico, certamente in modo più forte - la necessità di “guardare al mondo e ai suoi problemi con uno sguardo non violento, sapendo che la lotta tra violenza e non violenza inizia ogni giorno”, a non disattendere i focolai di conflitto in diverse parti del mondo. “Il ripetersi di guerre, genocidi, persecuzioni e violazioni dei diritti umani, il nuovo terrorismo, esigono che si elabori una strategia per la pace: è un compito gravoso che impegna noi cristiani ad essere costantemente costruttori di Pace e di solidarietà internazionale”.

E ancora: “ I problemi della fame, dell’analfabetismo, della miseria, della salute, che oggi colpiscono molte popolazioni nel mondo e in particolare in Africa, chiedono ai cristiani che amano la pace di farsi protagonisti di un disegno di globalizzazione della solidarietà e della giusta ripartizione universale dei beni”. Il Papa, poi, ha completato l’atteggiamento del “restare” con la necessità di “andare” a diffondere “nel mondo e per il mondo” la speranza che viene dalla risurrezione di Gesù: portare il lieto annunzio ai poveri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…Ricostruite le antiche rovine, restaurate le città desolate” (Isaia).

Alcune accentuazioni

Radicamento nel territorio. E’ un altro denominatore che ha pervaso tutto il Convegno. Dall’inizio, con una processione dei delegati da quattro chiese all’Arena, per mostrare che la Chiesa pellegrina percorre le strade del mondo, abita le città dove vivono gli esseri umani, seminando speranza. In questo compito non è sola; è accompagnata e sostenuta da coloro che hanno raggiunto la pienezza della vita in Cristo. 226 santi delle altrettante diocesi italiane sono stati invocati e i loro volti, emersi dal buio negli spalti dell’Arena, illuminati da un suggestivo gioco di luci, hanno suscitato vivissima emozione. Altri “testimoni del 900”, uno per ogni Regione italiana, sono stati presentati ai convegnisti e li hanno accompagnati lungo il cammino che conduceva alla sala degli incontri.

A 12 rappresentati del popolo di Dio è stata poi consegnata una copia del nuovo Martirologio in lingua italiana, “libro di testimonianze che arricchiscono il nostro sperare” e ricordano “che siamo immersi nella comunione dei santi” e in ogni condizione di vita è possibile vivere il vangelo in pienezza. Tutto questo per sottolineare che la nostra storia è segnata e in gran parte realizzata da testimoni santi, di cui siamo eredi. Essi inoltre mettono in risalto un altro aspetto spesso evocato: il “sentire” e l’anima “popolare” del cattolicesimo italiano, il suo essere vissuto da un popolo animato dalla fede e da rendere ancora più vigorosa. La forza di questa presenza popolare è stata resa visibile anche dall’ampio spazio espositivo sulle varie iniziative di intervento di gruppi, associazioni e istituzioni per l’annuncio del vangelo, la promozione umana e l’intervento in tante situazioni di disagio. Testimonianza che il radicamento sul territorio continua a essere vivo e diventa una prospettiva per potenziare:

  • l’impegno nei settori deboli della nostra società: lavoro, famiglia, scarsa natalità, povertà, mezzogiorno;
  • l’attenzione ai soggetti a cui dare speranza: le donne, per il “pieno riconoscimento della parità femminile anche nella Chiesa”; le famiglie; i giovani “il cui problema siamo noi adulti”; l’immigrazione, “sfida forte per le nostre comunità obbligate a pensare in termini interculturali” e a passare dall’accoglienza alla convivenza; gli anziani “per i quali serve un punto di vista nuovo anche da parte della comunità ecclesiale” (Pezzotta).

L’organizzazione stessa del Convegno ha risentito di questa dimensione dando ampio spazio ai lavori di gruppo (30) su cinque temi esistenziali: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza, arrivando a pregevoli e programmatiche sintesi finali per ognuno degli ambiti.

Sinodalità. Si è fatto nettamente sentire il desiderio di una comunione più concreta e profonda e di una conseguente pastorale d’insieme, integrata, basata sul trinomio: comunione-colaborazione-corresponsabilità. Prendendo lo spunto dalla 1Pt che presenta la Chiesa come un edificio costruito con l’apporto di tutte le “pietre vive”, si è auspicato che ogni comunità ecclesiale sia come una “casa”, accogliente, propositiva, sinfonica, in cui tutte le anime del cristianesimo possono confrontarsi e migliorarsi. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia” (NMI 43).

È stata ribadita la necessità di superare i particolarismi, le chiusure, i piccoli recinti, per costruire percorsi di fraternità vera e di comunione, mettersi in “rete”. Non profeti isolati, ma pionieri che coinvolgono altri. “Occorre che i vari raggruppamenti ecclesiali, movimenti o associazioni, recuperino un forte spirito ecclesiale e la capacità di agire insieme… per incontrare gli uomini che sperano, soffrono e si battono per un mondo migliore, per rendere testimonianza del Vangelo. Siamo chiamati ad operare in un nuovo spirito di comunione fraterna” (Pezzotta).

Presenza “politica” E’ pure sentita l’urgenza di “una nuova e plurale presenza dei cattolici” nella politica. Non schierati in un partito, ma che da qualunque parte si pongano siano “liberi e visibili” come cattolici nella elaborazione politica e programmatica, e uniti nei valori non negoziabili. Ma “la politica non si esercita solo nei luoghi della rappresentanza politica o nelle Istituzioni” ma anche “nella cura della città, nell’amorevolezza verso le persone, verso la famiglia, verso i poveri e i deboli. È nell’impegno sociale, nella creazione di legami e azioni solidali e di cura, che si esercita quella tenerezza che allena alla pratica del governo e crea le condizioni per la formazione di una classe dirigente attenta e responsabile verso le persone e la comunità” (Pezzotta). Questa citazione riassume molte delle proposte emerse anche nei laboratori sul soggetto di loro competenza. Singolare che un sindacalista, da cattolico abbia richiamato l’attenzione sui temi sociali, ma insistendo che la loro soluzione non sta solamente in provvedimenti strutturali o assistenziali, ma da interessamento vero, da esperienza vissuta, da ricchezza e calore di rapporti umani. E questo vale per tanti altri aspetti, anche pastorali.

Antropologia. In collegamento con quanto appena detto, frequente in quasi tutte le relazioni e nei laboratori è stato il richiamo all’antropologia. Che significa anzitutto: mettere al centro l’essere umano reale, concreto, storico, da conoscere, amare, aiutare, a cui infondere speranza, perché sia felice.
Antropologia indica anche comportamenti, sensibilità, convinzioni che si incontrano o scontrano con l’ideale del vangelo sul piano culturale, morale, sul vissuto nella famiglia, nelle scelte politiche, nella valutazione dei problemi etici.

Formazione. Come ha ricordato Benedetto XVI, l’educazione della persona è “questione fondamentale e decisiva”. Ricorrente in tutti gli ambiti è il richiamo alla formazione. Questa esigenza è avvertita anzitutto a livello antropologico, di formazione della persona, e non solamente per giovani, adulti e famiglie, ma pure per consacrati, presbiteri e seminaristi, per educatori e operatori della pastorale.

E in relazione a quanto detto sull’aspetto sociale, è raccomandata la formazione alla cittadinanza, come senso di appartenenza, responsabilità, collaborazione, rispetto delle leggi (anche finanziarie). Più attenzione deve essere data ai temi della cittadinanza e alla dottrina sociale della Chiesa nei catechismi, nei momenti forti della iniziazione cristiana, nelle omelie, nella pastorale ordinaria, perché un buon cristiano dev’essere pure un buon cittadino. Si è auspicato l’incremento delle scuole diocesane di formazione sociale e politica, la costituzione di un Osservatorio sociale permanente.

Proposte e stimoli, analisi e richiami sono molti, più di quanto è stato qui ricordato. Fin d’ora gli organismi locali delle Chiese si stanno impegnando per cogliere indicazioni in vista delle loro programmazioni pastorali e formative. La Conferenza Episcopale ne trarrà spunti per un documento programmatico, che completerà gli “Orientamenti pastorali” per questo primo decennio del terzo millennio cristiano. I Vescovi presenti nella quasi totalità hanno certamente tratto vantaggio da questo confronto con la “base”. La loro presenza è sembrata più famigliare, semplice e fraterna, più “democratica” che in altre occasioni simili. Se questa impressione è reale sarebbe in sintonia con il radicamento nel territorio e la aderenza a un cattolicesimo che vuole conservare il suo carattere popolare e accogliere istanze e proposte diverse, per costruire insieme, con l’apporto di tutti, l’edificio della Chiesa, casa comune.

Ci auguriamo che sia così, ascoltando anche le voci che vengono dalla Missione, dall’esperienza di Chiese di altri continenti, culture, popoli e aprendosi sempre più all’universalità.

Last modified on Thursday, 05 February 2015 16:55

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