Perché è bello essere preti?
Perché il sacerdozio è così necessario?
Come riconoscere la chiamata a una missione così importante?
Come viverla fedelmente per tutta la vita?
Proviamo a capirlo insieme.
Essere preti non è un impiego burocratico,
ma il frutto di un dono che viene da Dio
e rende la persona capace di agire come segno efficace di Cristo,
Capo del Suo Corpo che è la Chiesa,
al servizio del Vangelo, della riconciliazione e della carità fraterna.
È la missione che potrà rendere felici non solo quanti ad essa sono chiamati,
ma anche tutti coloro al cui servizio spenderanno la loro vita
seguendo con fedeltà e amore
il Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Gesù.
2. La chiamata al servizio della comunità. Sin dalle origini il sacerdote fu visto nel suo rapporto alla comunità: scelto da essa, costituito per essa. “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio...” (Ebrei 5,1-4). Al sacerdote è chiesto di essere esperto in umanità, solidale con le gioie e le sofferenze di tutti, attento e rispettoso verso ciascuno, ed insieme testimone del dono ricevuto dall’alto, segno vivo del Cristo che offre la vita per i suoi e li riconcilia con Dio. Uomo di frontiera, impegnato nella continua intercessione che in unione a Cristo Capo svolge fra gli uomini e Dio, il presbitero è chiamato a vivere la propria esistenza come dono per gli altri, sfida d’amore che sovverte la logica mondana del guadagno e le antepone l’esigente bellezza della gratuità. La forza del prete sta nella sua debolezza: è il suo esistere per gli altri che lo rende credibile. Così lo descrive un testo medioevale: “Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande, nobile di spirito, come di sangue reale, semplice e naturale, come di ceppo contadino, un eroe nella conquista di sé, un uomo che si è battuto con Dio, una sorgente di santificazione, un peccatore che Dio ha perdonato, dei suoi desideri il sovrano, un servitore per i timidi e per i deboli, che non s’abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri, discepolo del suo Signore, capo del suo gregge, un mendicante dalla mani largamente aperte, un portatore di innumerevoli doni, un uomo sul campo di battaglia, una madre per confortare i malati, con la saggezza dell’età e la fiducia d’un bambino, teso verso l’alto, i piedi sulla terra, fatto per la gioia, esperto del soffrire, lontano da ogni invidia, lungimirante, che parla con franchezza, un amico della pace, un nemico dell’inerzia, fedele per sempre... Così differente da me!” (da un manoscritto trovato a Salisburgo).
3. Il prete nella società complessa: un dono che viene da lontano. In una società, che è divenuta spesso una “folla di solitudini”, dominata dall’incomunicabilità e dall’estraneità degli altri, un’esistenza donata per amore, giocata “soltanto” per la riconciliazione con Dio e fra gli uomini, in un impegno di fede esigente e totale, si offre come un segno di contraddizione, una sorgente di speranza per tutti. Come l’Apostolo, il sacerdote dovrà dire di sé: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Corinzi 1,24). Questo modo di essere non è frutto di capacità umane, ma viene da Dio: lo ricorda la liturgia dell’ordinazione, strutturata nei tre momenti della “vocazione”, dell’“invocazione” e della “consacrazione”. Nel momento della “vocazione”, in cui il Vescovo chiama solennemente colui che chiede di essere ordinato, risuona l’iniziativa del Signore, che sceglie e invia i suoi apostoli. Mediante l’“invocazione” - rivolta al Signore, alla Vergine Madre Maria e ai Santi - la Chiesa pellegrina nel tempo invoca l’intercessione e l’aiuto della Chiesa celeste. Infine, nell’atto della “consacrazione” il carisma del ministero ordinato viene trasmesso attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera del vescovo. Così è stato sin dalle origini: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani” (2 Timoteo 1,6). La successione episcopale, che è appunto la trasmissione della grazia del sacerdozio attraverso l’ininterrotta catena dei vescovi, successori degli Apostoli, testimonia ed assicura la continuità della Chiesa nella tradizione apostolica, e quindi la sua permanenza nelle caratteristiche fondamentali della comunità affidata da Gesù ai Dodici. Il sacramento dell’ordine è un dono che viene da lontano, senza per questo perdere il suo mordente e la sua attualità. Esso comprende tre gradi: l’episcopato, che ne è la pienezza, che fa del vescovo il segno e il ministro dell’unità della Chiesa locale, al suo interno e nella comunione fra tutte le Chiese, espressa dal collegio episcopale e dal suo capo, il Vescovo di Roma; il presbiterato, che costituisce i sacerdoti “cooperatori del vescovo”, uniti collegialmente intorno a lui e chiamati ad esercitare il ministero di unità nell’ambito ad essi affidato; il diaconato, infine, che costituisce il ministro in aiuto del vescovo, al servizio dell’evangelizzazione e della carità nella comunità cristiana. La rete di rapporti che nasce da questo triplice grado dell’ordine sacro richiede fra tutti i ministri del Signore una comunione effettiva e profonda, tale cioè da favorire l’unità e la collaborazione fra le varie componenti della comunità ecclesiale, ciascuna nel grado che le è proprio e secondo il dono ricevuto da Dio. Specialmente la fraternità dei sacerdoti fra loro e la comunione piena e leale col Vescovo sono un segno eloquente dell’amore, voluto da Gesù come caratteristica dei suoi discepoli.
4. Il sacerdote e la Trinità. Il rapporto del sacramento dell’ordine a Dio Trinità è esplicitato dalla stessa preghiera di ordinazione, rivolta al Padre perché prenda possesso dell’ordinando (è questo il significato dell’imposizione delle mani da parte del vescovo ordinante), lo colmi del dono dello Spirito, lo configuri a Cristo sacerdote e ne faccia il segno della sua iniziativa d’amore nella comunità. Di qui l’esigenza che il sacerdote testimoni sempre l’assoluto primato di Dio, sia esperto nella preghiera e irradi nel suo servizio la luce e la forza che gli derivano dall’unione con la fonte di ogni dono, il Padre celeste. In rapporto al Figlio Gesù, sommo ed eterno Sacerdote, l’ordinazione configura l’ordinando a Lui, affinché possa agire quale segno efficace di Cristo Capo per la crescita della Chiesa nell’unità, mediante l’annuncio autorevole della Parola di Dio, la presidenza della liturgia e il governo pastorale. Questo rapporto del presbitero con Cristo è così forte e definitivo - grazie alla fedeltà del Signore - che viene definito “carattere”, e cioè segno indelebile: il ministro ordinato è chiamato ad essere con la sua intera esistenza presenza viva e irradiante del Salvatore. Il prete vive dell’amore di Cristo: “Il Sacerdozio - soleva dire il Santo Curato d’Ars - è l’amore del cuore di Gesù”. Nella liturgia dell’ordinazione, infine, viene invocato lo Spirito Santo, perché faccia dell’ordinando il segno e il servo della comunione, che il Consolatore incessantemente suscita e vivifica, e lo renda capace di operare il discernimento e il coordinamento dei carismi in vista dell’utilità comune. Questo rapporto con lo Spirito richiede la docilità del cuore, nell’attenzione a coglierne i segni e i doni dovunque essi si facciano presenti e nell’incessante invocazione della luce e dell’amore che solo lo Spirito può effondere nei nostri cuori. Attraverso il sacramento dell’ordine la Trinità entra dunque in modo speciale nella storia degli uomini e suscita presbiteri che in forza del dono ricevuto sono resi capaci di costruire cammini di vera libertà e legami di pace con Dio e fra gli uomini, nel tempo e per l’eternità.
5. Come divenire pastori fedeli. Un grande pastore della Chiesa antica, il Papa Gregorio Magno, scrisse un testo, la Regola Pastorale, in cui indica con molta saggezza le condizioni per divenire ed essere sacerdoti fedeli. È un’opera così utile e bella che vorrei farne tesoro con voi. All’inizio di tutto nella vita del pastore c’è la grazia, la chiamata gratuita e sorprendente di Dio: per ascoltarla e rispondere ad essa è indispensabile la generosità del cuore. Scrive San Gregorio: “Se l’impegno pastorale è la prova dell’amore, chi, pur avendo le doti, rifiuta di pascere il gregge di Dio, mostra di non amare il pastore supremo” (I, 5). È in condizione di diventare prete solo chi sia disposto a rispondere con fede e amore totale alla chiamata divina, avendo chiara consapevolezza di che cosa essa domandi a chi è chiamato: “Deve essere illibato nel pensiero, esemplare nella condotta, riservato per il silenzio, utile attraverso la parola, vicino a tutti con solidarietà, dedito più di ogni altro alla contemplazione, legato con vincoli di umiltà a quanti compiono il bene, avversario dell’iniquità dei malvagi per zelo di giustizia, intento a non indebolire la vita interiore per le cure temporali e a non sottrarsi agli impegni di questo mondo per la sollecitudine dei doveri spirituali” (II, 12). Ogni carrierismo, come ogni pavidità, devono essere banditi dal cuore del pastore: “Non abbia desiderio dei successi di questa vita né timore delle avversità, si opponga alle lusinghe del mondo tenendo conto di ciò che nell’intimo dà terrore, e ne disprezzi le paure seguendo l’attrattiva delle interiori dolcezze” (II, 14). Chiamati al sacerdozio dall’amore di Dio, si può essere preti soltanto per amore, disinteressato e fedele. Non mancheranno certo momenti di prova e di difficoltà. Ogni timore, però, va fugato, ricordando che la fedeltà alla chiamata è dono del Signore, che non nega mai il Suo aiuto a chi lo chieda con fede e umiltà.
6. Come il pastore deve relazionarsi a chi gli è affidato. Al dono divino deve corrispondere l’accoglienza responsabile da parte di coloro che sono chiamati al servizio dell’unità del popolo di Dio, quali profeti, sacerdoti e pastori. Il prete è anzitutto profeta, annunciatore autorevole della Parola di Dio: in questo ministero egli si affiderà continuamente all’assistenza dello Spirito Santo, che illumina le menti e riscalda i cuori, impegnandosi da parte sua a essere attento nell’uso delle parole, attraverso cui passa il suo annuncio e si irradia la sua carità pastorale: “Chi governa sia discreto con il suo silenzio e utile con la sua parola, per non svelare ciò che va tenuto segreto e per non tenere nascosto ciò che deve essere proclamato” (II, 15). Questa regola vale soprattutto per la predicazione: “Con grande impegno i pastori d’anime devono far in modo non solo di non proclamare mai degli errori ma anche di non esporre la verità in modo prolisso e disordinato, perché spesso l’efficacia della parola sfuma quando è indebolita presso il cuore degli ascoltatori da una verbosità inopportuna e incauta” (II,15). Nel presiedere la liturgia, culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa, il sacerdote offrirà se stesso all’azione divina, aprendo il suo cuore alla Trinità Santa in spirito di preghiera e di adorazione, testimoniando la gioia e la forza trasformante che scaturiscono dall’accoglienza della Parola e dei doni del Signore. Nell’esercitare la sua responsabilità di pastore e guida il prete ricorderà di non essere superiore a nessuno, perché la sovranità in tutto e su tutti spetta solo a Dio: “Quanti sono insigniti di autorità devono considerare in sé non il potere del loro grado ma l’uguaglianza della condizione, e siano lieti non di dominare sugli uomini ma di far loro del bene” (II, 17). In questa luce, il pastore promuoverà la dignità e la collaborazione attiva di tutti i battezzati, sforzandosi di valorizzare le qualità e i doni di ciascuno in vista dell’utilità comune. L’urgenza della carità dovrà sempre animare le sue scelte, in modo da testimoniare con l’eloquenza della vita che “quando offriamo ai poveri ciò di cui hanno stretto bisogno, non elargiamo del nostro, ma restituiamo ciò che a loro è dovuto; più che compiere un’opera di misericordia, adempiamo un dovere di giustizia” (III, 45). La carità pastorale è il segno distintivo di un prete che agisce secondo il cuore di Dio!
7. Come vivere il rapporto con il Signore. Quali che siano i compiti cui attende, il sacerdote dovrà dare sempre il primo posto all’intimità col Signore, fonte della carità pastorale: “Il pastore non trascuri la vita interiore a motivo degli impegni terreni e non si sottragga ai compiti temporali per dedicarsi soltanto alle realtà dello spirito, così da non esaurirsi nel fervore per l’assillo delle cose terrene né da togliere al prossimo ciò che concretamente gli deve, per aver scelto di dedicarsi solo alla vita dello spirito” (II, 18). Essere amabili, senza cercare il consenso a tutti costi, è proprio del buon pastore: “Chi presiede deve far in modo di essere amato per riuscire ad avere ascolto e, tuttavia, non cercare un affetto rivolto a sé, per non trovarsi nella segreta bramosia del potere” (II, 19). E poiché il vero amore viene solo dall’alto, alla radice di questo stile di vita ci dovrà essere l’ascolto credente e perseverante della Parola di Dio: “Tutto ciò è attuato dal pastore se, animato da spirito di soprannaturale timore e amore, si impegna ogni giorno a meditare i precetti della Sacra Scrittura, affinché le parole della divina ammonizione restaurino in lui il vigore della sollecitudine e della vigile attenzione nei riguardi della patria celeste, che la consuetudine con le vicende della vita corrode senza soste” (II, 22). L’eloquenza dei gesti dovrà autenticare il servizio della Parola: “Ogni predicatore deve attendere al suo ministero più con i fatti che con le parole, e tracciare con una vita santa la via da percorrere a chi vuol seguirlo, piuttosto che mostrare solo con la parola la strada su cui compiere il cammino” (III, 64). Anche questo, però, viene da Dio, perché nessuno può vivere in obbedienza, povertà e castità senza il Suo aiuto. Perciò, presupposto necessario a ogni esistenza sacerdotale generosa e fedele è l’umiltà accogliente davanti all’Eterno: “Lo sguardo dello spirito si rivolga alle proprie debolezze e faccia nascere in sé una salutare umiltà, dando risalto non al bene compiuto ma a quello che si è trascurato di compiere, in modo che il cuore, nella contrizione al ricordo della propria debolezza, si renda più saldo nella virtù al cospetto dell’Autore dell’umiltà” (IV, 65). Dove c’è questa umiltà, ci sarà anche la gioia di una vita piena di significato e di passione, quale è l’esistenza sacerdotale vissuta con amore fedele a Dio e al prossimo.
8. Preghiamo per i sacerdoti. Con umiltà ogni sacerdote chieda a Dio di essere così. E chi non è sacerdote, lo faccia per i pastori, certo che dalla santità dei presbiteri ne verrà del bene per tutti, perché un prete fedele è una vera sorgente di pace e di gioia per sé e per gli altri, come la “fontana del villaggio” a cui tutti vanno ad attingere, secondo l’immagine cara al “Papa buono” Giovanni XXIII. Domandiamo questo dono al Signore, pregando così: Donaci, Padre, sacerdoti che siano riflesso fedele del Tuo amore infinito, capaci di riscoprire ogni giorno la gioia di essere chiamati da Te al servizio della riconciliazione fra gli uomini e della crescita del Tuo popolo nella fede, nella speranza e nella carità. Configurali al Figlio Tuo Gesù Cristo, perché siano accoglienti verso tutti, servi d’ogni uomo, annunciatori umili e fieri della Parola della vita, profeti del Regno che viene, ministri dell’unico sacrificio, disposti ad offrire in sacrificio se stessi, guide luminose del popolo dei pellegrini in cammino verso la patria promessa. Colmali del Tuo Spirito, Padre, perché trasmettano credibilmente il Tuo perdono e la gioia a quanti sono loro affidati e suscitino fra gli uomini vincoli di unità, di giustizia e di pace. La loro testimonianza accenda in tutti il desiderio di Te e nel cuore di tanti l’attrazione a seguire Gesù, Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, sulla via umile e bella del sacerdozio scelto e vissuto per amore. Amen. Alleluia!