Sindacati in piazza: Ridate i diritti ai lavoratori del Pakistan

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Centinaia di lavoratori hanno manifestato ieri in varie città del Pakistan, lamentando condizioni di lavoro ingiuste e disumane, violazioni delle convenzioni internazionali e mancata applicazione delle norme nazionali a favore dei lavoratori. I dimostranti hanno marciato per le strade del Paese, uniti nella campagna “Un salario per vivere”, organizzata da varie sigle sindacali. Alle proteste dei sindacati si unisce anche la denuncia della Commissione asiatica per i diritti umani (Ahrc): “In Pakistan non ha alcun senso festeggiare la Giornata internazionale dei lavoratori. In tutto il mondo si celebra la lotta del movimento operaio. Qui invece i lavoratori sono tenuti all’oscuro dei loro diritti, è lo stesso Stato che li sfrutta”.

Ieri varie associazioni hanno manifestato per i diritti dei lavoratori. Tra queste, l’Association of Women for Awareness and Motivation (Awam), la Peace and Human Development (Phd-Pak), l’Awami Workers Party (Awp), il Labour Qaumi Movement (Lqm) e la Bhatta Mazdoor Union (Bmu). Nazia Sardar, direttrice di Awam, ha affermato: “Le donne impiegate nel mercato nero vengono sfruttate di continuo. Sono sottoposte a violenze e abusi sessuali. Il governo deve approvare una legislazione che protegga i loro diritti”.

Gli attivisti della Commissione asiatica ricordano che il Pakistan ha firmato la Convenzione del 1947 sulle ispezioni in ambito lavorativo dell’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro). Da quel momento però non ha mai incentivato un sistema di ispezioni che certifichi le corrette condizioni dei lavoratori. Nel 2010 poi il governo federale ha approvato il 18mo emendamento costituzionale, che demanda alle province il potere legislativo in tema di lavoro. Questo ha portato, denunciano gli attivisti in un report dettagliato, ad una proliferazione indiscriminata e non unitaria di legislazioni e forme di applicazione. “Nonostante la pletora di legislazioni, 32 in tutto, – scrivono – alla classe lavoratrice viene negato il diritto ad un ambiente di lavoro sano e al giusto stipendio”.

Le unioni sindacali aggiungono che i salari dei lavoratori pakistani sono tra i più bassi a livello mondiale. Naseem Anthony, un attivista, dichiara: “C’è una grande differenza tra salario minimo disposto dal governo e ‘salario per vivere’. Quest’ultimo implica avere le risorse necessarie per condurre una vita decente, senza dover lottare contro la povertà”. Suneel Malik, direttore del Phd-Pak, aggiunge: “Significa avere i soldi necessari per poter mantenere la famiglia, comprare cibo e vestiti, pagare la scuola per i figli, le cure mediche e i trasporti”.

Sindacati e attivisti concordano nel ritenere il lavoro nella fabbricazione dei mattoni in settore più a rischio. Grazie ad un sistema di pagamenti anticipati, il datore di lavoro tiene “in scacco” il dipendente fino a quando egli non ripaga il debito contratto. Tale meccanismo si traduce in una forma di lavoro forzato, che nel Paese coinvolge oltre 2 milioni di persone, circa l’1,13% della popolazione totale.

Altra piaga è quella del lavoro minorile: secondo l’Ilo, in Pakistan lavorano 12 milioni di bambini. Anche se il Paese ha approvato nel 1991 la Legge sull’impiego dei minori, l’uso dei minori nell’edilizia è una pratica ancora diffusa.

Lo sfruttamento, concludono gli attivisti, deriva dalla mancata applicazione delle leggi vigenti. Le leggi vecchie e obsolete, a loro volta, hanno un’origine comune: “Le autorità sono conniventi con i proprietari delle aziende, legati a qualche potere politico. Essi preferiscono tagliare i costi di produzione a scapito della sicurezza e della vita dei lavoratori”.

 Fonte: AsiaNews

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Maggio 2016 13:34

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