Tanzania: il "land grabbing" toglie terra e cibo ai contadini

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Il “land grabbing”, testualmente "accaparramento della terra" da parte di multinazionali nei Paesi in via di sviluppo, è una piaga che non sembra fermarsi. Per aiutare i contadini della Tanzania, tra le vittime di questo fenomeno, ActionAid ha lanciato un appello. Anna Zizzi ha sentito Roberto Sensi, responsabile del programma "Diritto al cibo" dell’associazione: 

- Parliamo di un’azienda svedese, che si chiama EcoEnergy, e che ha l’obiettivo di sfruttare 20.000 ettari di terra in Tanzania, nella zona di Bagamoyo, per produrre canna da zucchero per il mercato interno e il mercato internazionale. Il problema fondamentale è che l’obiettivo di quel progetto è mettere a coltivazione 20.000 ettari che in precedenza appartenevano ad un’azienda agricola pubblica, che poi è stata smantellata, dove le comunità locali esercitavano un diritto di uso. Adesso il governo tanzanese ha deciso di affittare per 99 anni questa terra a questa azienda, e quindi oltre 1.300 persone, che vivono in quell’area, sono costrette ad abbandonare la loro terra.

D. Si rischierebbe dunque di privare i contadini di uno dei mezzi di sostentamento principale…

R.  Il problema qui è che, sostanzialmente, attraverso questo affitto di terra, di fatto nell’area si impone un modello di crescita e sviluppo agricolo che non serve e non aiuta i piccoli agricoltori locali, che avrebbero bisogno di investimenti e di capitali per promuovere un modello, il loro: un modello su piccola scala, che garantisce prima di tutto la sopravvivenza delle comunità e permette in qualche modo di fare un’agricoltura in modo sostenibile. Qui, invece, si impone un modello che è esterno a quell’area, anche dal punto di vista colturale; quindi si impone un modello monocolturale, da canna da zucchero, che di fatto il primo problema che porrà sarà: “Ma il resto dell’alimentazione, come viene prodotto?”. E qui la risposta che dà l’azienda è: “Ma noi generiamo del reddito, e attraverso quel reddito avviene poi l’acquisto del cibo”. Ma, il problema fondamentale è che c’è un aspetto specifico di questo investimento che riguarda 3.000 ettari di terra, dove l’azienda non ha acquisito il controllo diretto, ma dove si fa agricoltura contrattuale: questo progetto prevede un fortissimo indebitamento dei piccoli agricoltori per fare avviare l’azienda agricola, e non si tiene conto poi effettivamente delle conseguenze per la sicurezza alimentare delle popolazioni. Mettendo a rischio la sopravvivenza e l’alimentazione di queste popolazioni, si viola un diritto fondamentale che è quello del diritto al cibo, che è riconosciuto a livello internazionale e che prevede, nella sua definizione, che l’accesso ai mezzi di sostentamento sia un diritto tanto quanto avere cibo.

 D. L’azienda svedese ha previsto un metodo di reinserimento per i contadini?

R.  L’azienda svedese, dai dati che ha fornito, prevede ad esempio che l’impiego diretto genererà 2.000 posti di lavoro, più un indotto di 10.000 posti di lavoro; dallo studio che noi abbiamo fatto ci appare anche estremamente sovrastimato. Per quanto riguarda le comunità che vivono nell’area di Bagamoyo, a loro non è stata data la possibilità di scegliere “sì” o “no”, ma soltanto di scegliere che tipo di compensazione volessero, se in denaro o se con altra terra al di fuori dell’area dell’investimento. Questo non va bene! Sia perché la consultazione non è avvenuta in modo previo, libero e informato, sia per i diritti umani, che sono a rischio di violazione a causa di questo investimento. Il problema è che lì dentro ci sono anche attori pubblici. Questo dimostra come, sostanzialmente, in questo momento, dietro la bandiera dello sviluppo e della cooperazione, si faccia accaparramento di terre e questo non veda soltanto responsabili le aziende private, ma anche istituzioni pubbliche di sviluppo.

D. Quali sono le richieste che ActionAid fa al governo della Tanzania?

R. Noi abbiamo lanciato una petizione internazionale rivolta al governo tanzanese, in cui chiediamo fondamentalmente due cose: la prima è fermare le operazioni di implementazione del progetto e la seconda è riavviare un processo di consultazione effettivo ed efficace con le comunità locali. Ovviamente, la decisione è delle persone che vivono là, ma noi vorremmo che questa decisione venisse presa con tutte le informazioni disponibili, che al momento non ci sono.

 

Ultima modifica il Giovedì, 26 Marzo 2015 09:49

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