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Sir 27,5-8;
Sal 91;
1Cor 15,54-58;
Lc 6,39-45
Per il cristianesimo la morale non è autonoma, non si auto giustifica, ma trova il suo fondamento nella risposta al Vangelo. Gesù, riprendendo il linguaggio sapienziale dell’Antico Testamento, si presenta come un maestro che comunica non solo con parole ma anche con il cuore perché la sua bocca esprime ciò che dal suo cuore sovrabbonda, come è ben evidenziato sia nel Siracide, sia nel Vangelo. In tale senso, siamo invitati a seguire questo maestro saggio e sapiente e non un maestro cieco e stolto.
La parola rivela i pensieri del cuore
Sia il brano dal libro del Siracide, sia la pagina del Vangelo affermano, in comune, che l’uomo si riconosce da come parla, perché “la parola rivela i pensieri del cuore” oppure “la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Sono al centro della riflessione non solo la parola ma il cuore, dove la parola, un mezzo privilegiato di comunione e di comunicazione, svela ciò che si trova nel cuore. L’uomo coi suoi discorsi, dall’ uso che fa delle sue parole, dal modo di ragionare comunica “all’altro” che cosa ha nel cuore: “così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo” oppure “il frutto dimostra come è coltivato l'albero”.
Dalle nostre parole possono uscire o verità o menzogne, la verità rivelerà la sincerità e la limpidezza del cuore, la menzogna rivelerà la cattiveria e la sporcizia del cuore dell’uomo. Dobbiamo dunque avere un cuore sincero e limpido per, attraverso le nostre parole, trasmettere, comunicare le cose buone. La comunità a cui apparteniamo ha bisogno dei buoni frutti che provengono dai nostri cuori.
Ad esempio se siamo sempre pronti a criticare gli altri, vuole dire che il nostro cuore è cattivo, non sono gli altri cattivi, ma noi, che abbiamo sempre bisogno di criticare, di bestemmiare, se avessimo un cuore buono, troveremmo sempre il modo di scusare gli altri, d’incoraggiarli e di difenderli.
Come già detto, Gesù è il maestro sapiente che parla con parole sapienti e sagge e soprattutto con il cuore, noi suoi discepoli dobbiamo seguirlo, lasciarci guidare da Lui per essere come Lui.
Un discepolo ben preparato, sarà come il suo maestro
Il brano evangelico ci invita allo sforzo di prepararci ad essere come il maestro poiché “un discepolo… che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”. Si tratta di essere come il maestro: il discepolo, nella fedeltà al maestro, deve poter ripetere le parole del maestro ed insegnare a sua volta. Il discepolo è colui che imita il Signore Gesù, il vero sapiente. Il Maestro insegna a noi, ancora oggi, attraverso le parabole, il modo come dobbiamo essere.
Per farci capire, Gesù usa la parabola del cieco che guida un altro cieco: “può forse un cieco guidare un altro cieco?”. Molti di noi si credono detentori della verità, camminano in mezzo agli altri con atteggiamento di superiorità; hanno la pretesa di sapere perfettamente ciò che dovrebbero fare e dire, vogliono allora essere guida agli altri, mentre loro stessi sono ciechi.
Dobbiamo invece andare incontro dell’altro con atteggiamento di apertura: ecco l’insegnamento della parabola della pagliuzza nell'occhio del fratello. Gesù chiede “Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Se vogliamo essere guida degli altri, se vogliono insegnare agli altri, dobbiamo prima e anzitutto convertire noi stessi, togliendo la trave che c’è nel nostro occhio. Molte volte, siamo indulgenti con noi stessi ed esigenti con gli altri, invece, dovremmo essere esigenti con noi stessi e indulgenti con gli altri, il contrario nuoce molto alla vita di carità e crea tensioni, incomprensioni e conflitti nella comunità. Impariamo a fare osservazioni agli altri con umiltà.
Il discepolo missionario, come l’ha affermato Papa Francesco, è colui che ha la capacità di accusare se stesso. Dunque il «primo passo» è: «accusa te stesso». Per Papa Francesco quando a noi vengono i pensieri su altre persone, del tipo: «Ma guarda questo così, quello così, quello fa questo, e questo...». Proprio in quei momenti è opportuno domandare a se stessi: «E tu che fai? Cosa fai? Io cosa faccio? Io sono giusto? Io mi sento il giudice per togliere la pagliuzza dagli occhi degli altri e accusare gli altri?». Al discepolo missionario Papa Francesco suggerisce questo consiglio pratico: «Quando mi viene in mente di pensare ai difetti degli altri, fermarsi: “Ah, e io?”. Quando mi viene la voglia di dire agli altri i difetti degli altri, fermarsi: “E io?”».