Per ogni persona, l’impegno missionario si manifesta in modi diversi e a volte sorge la domanda: la mia missionarietà è frutto di un’invio o di una chiamata? Quando da un po’ cammini su questa strada e ti viene posta questa domanda diventa necessario guardare la tua vita in retrospettiva per poter dare una risposta?
Nel mio caso, comincio col dirvi che la mia vita attiva nella chiesa è iniziata quando ho iniziato i miei studi nella scuola "María Auxiliadora" di Barquisimeto. I miei genitori mi iscrissero lì non perché fossero particolarmente religiosi, ma perché volevano che studiassi in un luogo dove le lezioni non si interrompessero a causa dei continui scioperi degli insegnanti del settore pubblico. Allora avevo 13 anni e lì è cominciata la mia avventura.
Un giorno, alcuni sacerdoti (non avevo idea di dove fossero) vennero alla scuola per invitarmi a partecipare ad una "Scuola di Animazione Missionaria" e per mia fortuna il luogo dove si sarebbe svolta era molto vicino a casa mia in una casa che era conosciuta nella comunità come "La Consolata". Le lezioni erano tenute da un padre “negrito”, con un accento difficile da capire, originario dell'Africa che si chiamava Deogratias. Queste lezioni erano impartite con il padre Nacho della comunità "Alegría y Esperanza" del quartiere "El Tostao", situato nell'ovest della città di Barquisimeto, e divennero il preambolo del Campo Giovanile Missionario "Dio ci chiama, la chiesa ci visita" che si sarebbe tenuto nel mese di agosto successivo nel quartiere "Los Pocitos", un altro quartiere situato nella parte orientale della città, ma con grandi necessità economiche e spirituali. Fu lì che iniziò il mio ardore missionario.
Dopo questa esperienza, e mentre mi avvicinavo alla fine dei miei studi superiori, avevo il desiderio di studiare all'università "qualcosa con cui avrei potuto aiutare le persone", in quel tempo pensavo così. Così prima ho pensato di essere medico, per curare gratuitamente i più poveri tra i poveri; poi avvocato per soccorrere gli ingiustamente accusati e alla fine ho finito per fare l’ingegnere informatico e durante la mia permanenza all'università il desiderio di essere di aiuto gli altri è finito nel dimenticatoio e sono emersi altri interessi come la famiglia, i figli, un lavoro ben pagato, una casa tutta mia, un'auto appropriata, insomma, tutto ciò che la società si aspetta da un professionista di successo. Dopo la laurea avevo inizialmente cercato lavoro in un'azienda ma poi mi è stata data l'opportunità di insegnare in una Scuola Tecnica poiché stavano creando una specializzazione in informatica e avevano bisogno di personale qualificato nel settore e non c'erano ancora professionisti che fossero anche laureati nell'insegnamento. Mi si è presentata l'opzione di studiare una nuova carriera: "l'educazione", ho capito che al di là dell'insegnamento di contenuti tecnici, avrei potuto essere una consigliera, amica, madre, di molti giovani. Anche quello poteva essere un buon modo per aiutare gli altri.
Su questa strada sono tornata alla vita attiva della comunità cristiana, mano nella mano con mia figlia attiva in un gruppo di canto. Nella parrocchia di Sant'Agostino sono diventata consigliere del gruppo giovanile e la Consolata è ritornata nella mia vita in un modo molto concreto.
Nel 2016, con l'accompagnamento del carissimo padre Andrea Bignotti, è cominciata la formazione per diventare Missionario Laico della Consolata.
Il padre Andrea, come un nonno affettuoso, ci ha insegnato che la missione non è solo una tappa della vita, un tempo in cui si fanno delle cose particolari con persone altrettanto particolari, ma piuttosto un modo e uno stile di vita
Quando si sente parlare del Risorto non si può smettere di condividere la gioia della buona notizia, e "fare il bene e in silenzio", come diceva il beato Giuseppe Allamano, significa amare non a parole, ma con le azioni. Anche se sono una madre di famiglia di 41 anni e insegnante di professione, anche così, posso avere uno spirito missionario perché si è missionari ogni giorno. Che senso avrebbe la vita se la missione si limitasse solo a delle esperienze puntuali?
Dopo aver ripercorso il mio cammino posso concludere che sono stata continuamente chiamata alla Missione e che la missione mi accompagnerà fino alla mia partenza per la casa del Padre.
Coraggio allora, non pensiate che la missione è un lavoro solo per giovani, single e senza figli. Non si tratta solo di andare ad altri continenti, anche la vostra terra è terra di missione. Non dimentichiamo una famosa sentenza di Giuseppe Allamano "Dio mi chiama oggi, bisognerà vedere se mi chiamerà anche domani". La nostra risposta de essere entusiasta malgrado gli anni.
* Suler Méndez è Laica Missionaria della Consolata