Leggo qui, nell’interessante intervista di Giacomo Galeazzi all’amico e collega Gianfranco Svidercoschi, la notizia che il prossimo 7 marzo oapa Francesco commemorerà, nella parrocchia di Ognissanti sull’Appia Nuova, il 50.mo anniversario della prima Messa in italiano celebrata proprio lì da Paolo VI: entrava in vigore quel giorno la riforma liturgica della lingua nella celebrazione eucaristica: da allora messa in italiano.
Fu un grande evento che per molti anni, e fino a oggi, è entrato non solo nella prassi e nella vita, ma anche nelle discussioni cattolico-romane, e non solo. Per una circostanza personale posso aggiungere qualche ricordo di cronaca secondaria, ma significativa dell’atmosfera che in quei giorni si visse da parecchie parti, talora con opposti sentimenti, alcuni dei quali va detto non ancora del tutto… evaporati: le nostalgie tradizionaliste da una parte, e dall’altra talora anche le modificazioni autocratiche e di gusto artistico non sempre raffinato durano fino a oggi…
Ebbene: proprio il sabato successivo a quel 7 marzo, nella chiesa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, in via Gallia, a Roma, e confinante con quella di Ognissanti, ho ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Il parroco di allora, monsignor Luigi Rovigatti, uno straordinario esempio di prete romano, di apertura ecumenica, di cultura liturgica e pastorale, all’avanguardia e insieme in piena fedeltà alla dottrina e alla grande disciplina ecclesiale, aveva preparato la celebrazione secondo il nuovo rito, quindi con le parti designate dalla riforma di Paolo VI in italiano. Arrivò come consacrante, al mattino poco prima della celebrazione, il vicegerente di Roma monsignor Ettore Cunial, che conosceva benissimo l’ordinando fino dalla sua infanzia, ma una volta giunto in sacrestia si impuntò, dicendosi impreparato alla nuova forma del rito, e volle che la celebrazione fosse tutta in latino. Ho saputo, dopo, che ci fu un vero e proprio confronto tra lui e il parroco, ambedue pastori di grande valore, e che alla fine il parroco dovette cedere, e l’ordinazione avvenne tutta in latino…
La cosa più simpatica, però, in tutta la faccenda che ha puro valore di piccola vicenda, furono i commenti della gente che ancora discuteva del cambiamento della lingua, e che dopo la domenica precedente, con l’italiano, quella volta aveva ritrovato il latino per tutta la celebrazione: latino sì o no? Italiano meglio o peggio?
Proprio davanti alla Chiesa – un ricordo preciso – c’era una edicola di giornali e per caso era esposto un grande manifesto della copertina di una singolare rivista, anche un po’ misteriosa, Il Pensiero Nazionale, allora diretta dal giornalista Stanis Ruinas, che aveva un passato discusso tra filofascismo e liberalismo di destra, con qualche sfumatura allora ritenuta anarchica e di sinistra… E su quel grande manifesto spiccava la scritta monumentale: «Tu es Petrus!».
Ebbene, proprio lì davanti la voce del popolo più semplice dette un esempio di commento sentenza. Una signora piuttosto anziana fissando quella scritta esclamò con voce forte: «Tu e Pietro!». E dopo qualche secondo di pausa: «Però: quanto era bella, la Messa in latino!».
Può servire, qui, anche per ricordare uomini di Chiesa come Rovigatti, poi vescovo vicegerente di Roma anche lui e poi a Civitavecchia, morto prematuramente a metà degli anni ’70, e Cunial, che invece ha vissuto fino ai 100 anni, ed è scomparso nel 2005. A metà degli anni ’30 giovane prete era arrivato con gli emigranti dal Veneto nelle campagne delle Paludi Pontine, poi aveva fondato a Roma la parrocchia di Santa Lucia, in circonvallazione Clodia, dove aveva allestito una centrale di rifugio per ebrei perseguitati e per resistenti minacciati dai nazifascisti. In quei primi anni ’40 in parrocchia c’erano sei o sette preti, ma quelli veri erano solo due: gli altri o ebrei o partigiani in fuga dalle retate nazifasciste. Tra essi, solo come esempio, il futuro presidente della Siae, Bruno Grazia Resi, e il futuro deputato Pci Mario Alicata, che poi fu arrestato altrove e torturato per estorcergli i nomi dei «complici»: la vicenda fu all’origine dell’arresto e della fucilazione di don Morosini, ricordato per tante ragioni e anche per quel «Roma Città Aperta», che fu tale proprio per la presenza protettrice di Pio XII e della intera diocesi, ovviamente su mandato del Papa stesso, «defensor civitatis» per tante ragioni…