Letture:
Dt.30,10-14;
Sal.18;
Col.1,15-20;
Lc.10,25-37; La parabola del Buon Samaritano
Comunione:
Il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio Re e mio Dio.
Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi.
La parabola è l’autoritratto di Gesù.
Nella tradizione patristica fin dal secondo secolo era assai diffusa l’interpretazione secondo la quale il buon samaritano è Cristo venuto a soccorrere l’uomo aggredito e portato da satana a un passo dalla morte.
“Perché l’uomo non avesse a perire, e perché tutto ciò che era per crollare in Adamo fosse più felicemente innalzato in Gesù” (Pio IX).
Gesù è il buon samaritano che è sempre pronto a curvarsi sulle nostre ferite con gesti di grande tenerezza e di dolcissima pietà (Luigi Pozzoli).
L’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio è un riflesso del mistero divino. Dio ha desiderato farsi uomo perché voleva che l’umanità fosse il luogo prediletto della sua presenza.
Gesù, buon samaritano manifesta le seguenti tre caratteristiche:
1. Il grande Amore di Dio verso l’umanità: un Amore tutto spirituale, che è la natura stessa di Dio che “sente compassione” per chi è imbattuto in satana ed è lasciato quasi morto lungo la strada. Gesù ridà la vita al moribondo donandogli gratuitamente la Grazia, facendolo partecipe della sua vita divina.
2. Gesù si avvicina al ferito e ne cura le ferite infondendovi vino ed olio e le fascia.: cura le ferite dell’anima del moribondo con la forza dei Sacramenti e con la preghiera.
3. Gesù prende il ferito e lo pone sul suo giumento e lo porta all’albergo e si prende cura di lui. Gesù fonda la Chiesa, l’albergo in cui i feriti vengono curati e rinvigoriti.
Questa interpretazione ci mostra nell’atteggiamento di Gesù le tre forme di Amore:, di cui parla Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, “Deus caritas est”.
- L’amore sensibile o eros che ci porta ad aver cura dei fratelli sul piano naturale: infonde medicina sulle ferite, che vengono fasciate
- L’amore razionale o filia, che ci porta a trattare bene il ferito socialmente, portandolo all’albergo e prendendo cura di lui.
- L’amore soprannaturale o agape, che ci porta a vedere nel ferito l’immagine di Dio deturpata e chiede a Dio di restituire l’immagine originale di pace e bellezza.
In ogni uomo sono presenti le due prime forme di amore, la terza è dono gratuito di Dio, che Dio fa nel Battesimo e concede agli uomini di buona volontà.
Per avere vero amore verso il prossimo è necessario che siano presenti tutte e tre le forme di amore. La prima forma di amore è solo filantropia, azione umana, buona ma solo temporale e terrena; La seconda forma porta da un amore sociale, di ragione, che considera le convenienze; certamente buona, ma solo a livello di società umana che passa. La terza forma è dono di Dio, che l’uomo fa al fratello; è come la luce che illumina le altre due forme e le valorizza.
Esempio: Santa Madre Teresa mandava le sue Suore a raccogliere gli ammalati, affamati per le strade di Calcutta: qualche volta andava lei, allora tutti volevano essere sollevati da lei. Eppure era la stessa brandina su cui li deponeva, portata da 4 uomini
S. Giuseppe Cottolengo: volevano ricevere il piatto di minestra da lui, non dalle sue sante Suore, ed era lo stesso piatto e la stessa minestra.
Serva di Dio Flora Monfrinati, quando distribuiva lei il cibo agli orfani, questo era sempre sufficiente per tutti e tutti erano soddisfatti e contenti.
Ecco, quei gesti caritatevoli di carità umana e sociale erano illuminati dal dono di Dio, l’Amore. Se manca questo amore, certo la carità umana e sociale rimangono ancora carità, ma molto buia, priva di pace, anzi alle volte causa di conflitti, gelosie e invidie.
Ecco che cosa ci insegna la parabola di oggi: che per fare vera carità umana, vera carità sociale, dobbiamo prima essere buoni cristiani, avere nel nostro cuore il grande Amore di Dio, la Grazia santificante, perché solo allora la carità umana e sociale ricevono luce e producono in chi dona e in chi riceve la vera pace, la serenità, la gioia dello spirito.
Chiediamo alla Madonna di farci missionari come lo fu lei con il cuore del samaritano.
Altre riflessioni:
Più che chiedersi “chi è il mio prossimo”, bisogna chiedersi: a chi posso farmi prossimo. Anche Gesù disse: “chi dei tre ti sembra che sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Per poter fare questo il mio amore deve avere alcune caratteristiche:
San Clemente I Papa: “Vedete quanto è grande la carità! Si trovano in essa solo coloro che Dio ha voluto renderli degni. Chiediamo alla sua Misericordia di essere trovati nella carità”.
Eros, Filia e Agape. Se l’Agape informa le altre due allora ogni forma di carità è santa. Ma le prime due senza l’Agape non possono mai raggiungere la santità, sono solo su un piano umano.
- Un amore universale. Il Samaritano soccorre chi gli era socialmente estraneo, anzi nemico. Un amore, quindi, che non discrimina, non esclude nessuno. Non guarda tanto al colore della pelle, al colore politico, religioso, ideologico; ma prende atto che ha a che fare con un uomo. E' quest' "uomo" il protagonista, messo in scena fin dall'inizio e che successivamente entra in rapporto (mancato) col sacerdote e col levita, e poi in rapporto (realizzato) col Samaritano. E' semplicemente un uomo e come tale suscita compassione nel Samaritano.
- Un amore coraggioso, che non teme di rischiare e paga di persona. Se i primi due non si sono fermati, è per ragioni di purità rituale, ma anche per la paura, se indugiavano, di subire la stessa sorte del malcapitato.
- Un amore sommamente generoso, che non si accontenta di un pronto intervento, ma si preoccupa anche del futuro di quest'uomo e coinvolge altri (l'albergatore) nella cura di lui.
- Un amore che porta a compatire (patire con): "lo vide e ne ebbe compassione". La compassione, che significa un atteggiamento di profonda partecipazione e coinvolgimento. E' un immedesimarsi nella realtà dell'altro, un "patire-sentire con l'altro".
- Un amore che decentralizza, nel senso che non considero più gli altri in relazione a me, ruotanti attorno a me; ma considero me in relazione agli altri. Non più io al centro dell'attenzione, ma l'altro Per cui sono libero di farmi prossimo agli altri.
Anche noi tante volte siamo prigionieri di determinati atteggiamenti che ci bloccano e ci impediscono di amare prontamente il prossimo; ne richiamiamo tre:
- La fretta: tutti corrono. È tanto difficile incontrare qualcuno che ha tempo per te, che sa "perdere tempo" e sa "interrompere" la propria attività (come fa il Samaritano) per donare tutta la sua attenzione.
- La paura di un nuovo impegno, la paura di essere disturbati, la ricerca dei propri comodi, il desiderio di essere lasciati in pace...
- La ricerca di un alibi: gli alibi per "defilarci" siamo bravissimi a scoprirli, a inventarli, a costruirli. Noi siamo infatti istintivamente portati a prendere le distanze dall'altro, a rifiutarlo, perché vediamo nell'altro un possibile pericolo per la nostra autonomia, per la nostra tranquillità.