Am 6,1a.4-7; Sal 145; 1 Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31
Le letture liturgiche di questa domenica ci parlano dell’atteggiamento che dobbiamo aver con i poveri: condividere con loro la ricchezza umana che Dio ha messo sulle nostre vite. Mentre Amos condanna il lusso ostentato e la corruzione dei ricchi che vivono nell’abbondanza e non s’interessano dei poveri, nella parabola del Vangelo, Gesù sottolinea l’importanza del buon uso delle ricchezze e della premura verso i bisognosi.
Guai agli spensierati di Sion
La pagina del libro di Amos, il profeta denuncia le colpe di un gruppo privilegiato, i notabili della “casa d'Israele”, ed inizia con questa esclamazione: “Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Chi sono questi “spensierati di Sion”? Per il profeta Amos “gli spensierati di Sion” sono tutti coloro che pensano di godersi la vita, ai danni degli altri, consumando, sprecando beni, cerando solo soddisfazioni e piaceri della carne. Amos si rivolge specificamente ai reggitori dei popoli chi mangiano, bevono e si godono la vita e non pensano ai poveri, agli handicappati.
Il peccato di questi ricchi chi vivono in una società opulenta è essere spensierato, cioè, dimenticare la miseria del mondo che li circonda. Vivono e bevono e non si danno pensiero. La ricchezza li rendi spensierati, alienati, cioè la loro ricchezza li toglie il pensiero, crea indifferenza, abulia, incapacità di amare. Come vedremo nel Vangelo, il peccato del ricco epulone non è quello di stare a tavola con gli amici ma di non darsi pensiero di Lazzaro che è nella miseria e nella sofferenza.
Un povero di nome Lazzaro
Nel Vangelo di Luca, viene proposta una celebre parabola, l’unica di Gesù ad avere un personaggio con un nome proprio, Lazzaro, che in ebraico vuol dire: “Dio aiuta”. La parabola a differenza delle altre parabole dove non sono mai indicati dei nomi. Il ricco, invece, non ha nome perché vive totalmente assorbito da sé stesso e dai suoi beni; per questo è del tutto indifferente al povero accasciato alla sua porta.
Il racconto inizia con la presentazione dei due protagonisti: il ricco e povero Lazzaro: “C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente” … e “Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”. Il confronto tra questi due personaggi tende a presentare il primo come uno che è un egoista, tutto dedito al godimento dei suoi beni, senza alcun interesse per chi è nel bisogno; egli non invita certo i poveri alla sua tavola.
La sua porta era chiusa verso i poveri ed aperta verso i ricchi. Anzi era aperta verso i cani e non i poveri. In un certo senso, possiamo dire che questo uomo ricco non faceva niente di male: banchettava lautamente, e questo non è un peccato. Ma doveva pensare al povero. Ometteva di fare del bene. La parabola sottolinea l’importanza del buon uso delle ricchezze e della premura verso i bisognosi. Insegna che con la morte c’è il giudizio personale, che non potrà più essere modificato.
Siamo consapevoli che in questo mondo ci sono i ricchi epuloni che si permettono di tutto e di poi e tanti milioni di mendicanti, come Lazzaro del Vangelo di oggi, che vanno alla ricerca del minimo indispensabile per la loro dignità umana. E quel minimo gli viene negato proprio da chi ha tutto e il di più, utilizzando i beni comuni. Il discepolo missionario è consapevole che “sarà condannato non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo”, come l’aveva ben detto Papa Francesco.
* Mons. Osório Citora Afonso, IMC, è vescovo della Diocesi di Quelimane e segretario della Conferenza Episcopale del Mozambico (CEM).










