In un mondo di scoperte scientifiche quotidiane, c'è la tendenza a puntare sempre al nuovo e a dimenticare il vecchio. C'è il rischio di correre per nuove discipline e corsi accademici e dimenticare le “materie tradizionali" come lo studio della storia. La mentalità progressista del mondo odierno vede l’attenzione al passato come un'occasione sprecata.
Molte persone credono che dovremmo continuare ad andare avanti, cercando sempre cose nuove e senza fare troppo riferimento al passato. In effetti, ci sono molti che vedono lo studio della storia come noioso e irrilevante oppure entrambe le cose. C'è la necessità, come Congregazione, di promuovere lo studio e le specializzazioni nel campo della storia perché ciò che oggi noi conosciamo e sappiamo di noi stessi è dovuto allo sforzo di alcuni nostri confratelli che in passato si sono impegnati e dedicato tempo ed energie alla raccolta di documenti e preparare studi approfonditi e scientifici sulla storia dell’Istituto.
Imparare la nostra storia potrebbe non sembrare importante al momento in cui gli eventi accadono, ma con il passare degli anni, iniziamo a comprenderne l'importanza. In verità, studiamo la storia affinché la storia non rimanga alle nostre spalle e anche perché essa ci aiuta a capire come gli eventi del passato hanno creato le premesse per lo sviluppo degli eventi fino ad oggi.
Le storie dei nostri primi missionari in diverse parti dell'Africa, narrano dei viaggi intrepidi che hanno fatto verso luoghi sconosciuti, il coraggio per superare le sfide e l’intraprendenza per sopravvivere in terre piene di imprevisti e pericoli senza precedenti. Con le lezioni del passato, non solo impariamo a conoscere noi stessi e come ci siamo sviluppati, ma anche la capacità di evitare errori e così essere in grado di creare percorsi migliori per le nostre società. Ciò significa che la storia non è semplicemente uno studio di situazioni ed eventi lontani da noi. Le persone a cui pensiamo nel passato, vissute per decenni in una certa missione, anche se non le abbiamo conosciute personalmente, le loro storie e le loro imprese, influenzano direttamente il modo in cui viviamo la nostra vita e missione oggi. Eventi ed imprese richiamati da delle semplici date del calendario hanno, però, segnato delle pietre miliari del processo storico che ha coinvolto il nostro Istituto.
L'ex presidente dell'American Historical Association, William H. MacNeill, ha scritto: "La conoscenza storica non è né più né meno che una memoria collettiva costruita con cura e critica” (In Chris Lorenz, La linea di confine: La Storia 'scientifica' fra costruzione e decostruzione del mito). Vale a dire che la ricerca storica costruisce e codifica avvenimenti e fatti che ci rendono un popolo. Ne consegue che dallo studio della nostra storia come Istituto, impariamo la strada che abbiamo fatto e che ci ha portati dove attualmente siamo e perché viviamo e ci comportiamo in un determinato modo. Lo studio della nostra vita, del nostro posto nel mondo e del nostro scopo e missione in un mondo che continuamente cambia e si evolve, ci fornisce spunti sulle possibili strategie che dovremmo usare per realizzare con successo la nostra missione.
Senza conoscere le storie che ci hanno formati e reso ciò che siamo, non potremmo comprendere tutti i nostri successi e fallimenti e ripeteremmo continuamente schemi senza costruire qualcosa di nuovo, di originale e migliore. Questo è il motivo per cui il filosofo spagnolo, George Santayana, nella sua monumentale opera, ha sottolineato che: "Coloro che non riescono a ricordare il passato sono destinati a ripeterlo" (Cfr. George Santayana, The Life of Reason: The Phases of Human Progress, Alpha Editions, 2023). Imparare dai nostri missionari che ci hanno preceduto è un passo importante per rendere il nostro futuro più luminoso.
Oggi, come ha scritto Papa Francesco, c'è bisogno di "sottolineare l'importanza di sviluppare un autentico senso della storia nei giovani studenti di teologia” (Lettera sul Rinnovamento dello studio della Storia nella Chiesa, 21 novembre 2024). È piuttosto scoraggiante vedere che come Istituto non siamo ancora riusciti a preparare un team di storici che potrà traghettarci verso un livello successivo. Molte Regioni hanno anni e anni di storia pieni di esperienze missionarie molto interessanti da raccontare, ma, purtroppo, non sono ancora documentate. Questo spiega il motivo per cui Papa Francesco - sempre nella stessa lettera - ha sollecitato a promuovere nei giovani studenti di teologia “una reale sensibilità storica. Con quest’ultima espressione voglio indicare non solo la conoscenza approfondita e puntuale dei momenti più importanti dei venti secoli di cristianesimo che ci stanno alle spalle, ma anche e soprattutto il sorgere di una chiara familiarità con la dimensione storica propria dell’essere umano”.
È un dato di fatto che nessuno può conoscere veramente la propria identità più profonda oppure quello che desidera diventare in futuro, senza considerare attentamente i legami che lo uniscono alle generazioni precedenti. Questo vale non solo per noi singolarmente, ma anche come comunità. Infatti, lo studio e la scrittura della storia ci aiutano a mantenere viva "la fiamma della coscienza collettiva” (Papa Francesco, Messaggio per la 53esima Giornata Mondiale della Pace 2020). Se ciò non viene fatto, tutto ciò che rimane di ciò che sperimentiamo si limita alla memoria personale di fatti legati ai nostri interessi o sensibilità, senza alcun collegamento reale con la comunità umana ed ecclesiale in cui viviamo. È un’occasione per invitare sempre più persone nell'Istituto a seguire corsi di specializzazione nei diversi ambiti della storica, perché in verità è l'unico modo in cui possiamo informare e formare le prossime generazioni non solo su ciò che abbiamo vissuto, ma anche su ciò che le nostre presenze in molti luoghi del mondo hanno significato.
Visita del canonico Giacomo Camisassa ai primi missionari in Kanya
Una “corretta sensibilità storica”, come lo chiama il papa Francesco, può aiutare ciascuno di noi a sviluppare un migliore senso delle proporzioni e della prospettiva per arrivare a comprendere la realtà così com'è e non come la immaginiamo o come vorremmo che fosse.
Ciò significa che se sviluppiamo un senso appropriato della storia riguardante il nostro Istituto, i missionari e le nostre missioni, faremmo un servizio grande ai missionari giovani superando la paura di un passato glorioso che rischia di andare perduto. Questo perché, mettendo da parte le astrazioni pericolose e disincarnate del nostro mondo odierno, diventeremmo capaci di relazionarci alla realtà così com'è e come ci chiama alla responsabilità etica, alla condivisione e alla solidarietà. In altre parole, lo studio della nostra storia può aiutarci a conoscere bene l'Istituto e ad amarlo così com'è, senza propagare sogni di una realtà che crea solo paura e scoraggiamento.
Venendo a conoscenza delle “imprese” compiute dai nostri missionari in passato, anche noi siamo in grado di appurare che la nostra famiglia missionaria non è particolarmente speciale e men che meno “alla deriva”. Anzi la conoscenza della storia ci aiuterà a metterci nei panni dei fratelli che ci hanno preceduto come uno stimolo per impegnarci sempre di più per la costruzione del Regno di Dio, per la conservazione della nostra memoria e per il rinnovamento di un Istituto all’altezza delle generazioni future.
* Padre Jonah M. Makau, IMC, Postulatore e direttore dell'Ufficio Storico.