Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 9,28-36
In questa quinta tappa del cammino quaresimale, la liturgia della Parola ci invita a liberarci da tutto ciò che ci schiavizza e a camminare, con coraggio e decisione, verso la meta che ci attende: la vita rinnovata, un orizzonte di libertà e di felicità che Dio vuole offrire a tutti i suoi amati figli.
Nella prima lettura (Is 43,16-21), il Dio che ha liberato gli ebrei dalla schiavitù dell'Egitto annuncia agli esuli di Babilonia che realizzerà un nuovo intervento salvifico in favore del suo popolo. Gli esuli saranno rilasciati; accompagnati da Dio, percorreranno un cammino che li riporterà alla terra da cui sono stati strappati, la terra dove scorrono latte e miele.
Il nuovo esodo che Dio prepara per il suo popolo è descritto dal Deutero-Isaia in termini grandiosi: Dio aprirà una via ampia e diritta nel deserto che favorirà il viaggio di ritorno verso la terra promessa (v. 19); Dio farà sgorgare fiumi nella terra arida, affinché il suo popolo non soffra, i tormenti della sete; tutti –anche gli animali selvatici– riconosceranno l’azione salvifica di Dio e si riuniranno per cantare la gloria e la potenza di Dio (v.20).
Se le azioni di Dio manifesteranno chiaramente la preoccupazione per il suo popolo, in questo tempo di Quaresima anche a noi Dio lancia la sfida di camminare dalla schiavitù alla libertà e–pur passando dalla croce– camminare dalla vita vecchia alla vita nuova, la vita della resurrezione.
Nella seconda lettura (Fil 3,8-14), Paolo di Tarso condivide la sua esperienza con i cristiani della città di Filippi: da quando ha incontrato Cristo, Paolo ha lasciato dietro di se come “spazzatura” tutto ciò che limitava i suoi movimenti e gli impediva di correre incontro a Cristo; identificandosi con lui correre verso la meta finale, dove spera trovare la vita definitiva.
Paolo ricorda ai cristiani di Filippi –e anche a noi– che la vita cristiana è come una corsa che non termina finché non si raggiunge il traguardo. Paolo sapeva che, in certi momenti del cammino, siamo tentati dall'accomodamento, dal conformismo, dall'installazione, dalla pigrizia, dalla convinzione di aver già fatto tutto quello che c'era da fare. Per quello ci lascia un monito: mentre camminiamo su questa terra nulla è finito, c'è sempre una strada da percorrere. La nostra identificazione con Cristo è una sfida costante, un impegno che dobbiamo rinnovare ad ogni passo del cammino.
Nel Vangelo di oggi (Gv 9,28-36), Gesù mostra, attraverso il racconto di una donna accusata di adulterio, come Dio si comporta con le nostre decisioni sbagliate: "Io non ti condanno. Va' e non peccare più". Il perdono di Dio, frutto del suo amore, parlerà sempre più forte del nostro peccato. La grande preoccupazione di Dio non è punire coloro che hanno fallito; ma è indicare ai suoi figli una strada nuova, di libertà, di realizzazione e di vita senza fine.
Gesù è seduto sulla spianata del Tempio, nell'atteggiamento classico dei “maestri” che insegnano ai discepoli (v. 2). “Seduto”, come i rabbini, offrirà a tutti una lezione indimenticabile su come Dio guarda la nostra fragilità. La dinamica di Dio è una dinamica di misericordia, perché solo l'amore trasforma e permette di superare i limiti umani. Questa è la realtà del Regno di Dio. Gesù mostra agli scribi e ai dottori della legge che la forza di Dio non sta nella condanna e nel castigo, ma nell'amore e nel perdono; che Lui non vuole la morte di chi ha sbagliato, ma la piena liberazione di tutti; che il suo cuore è come il cuore di un padre o di una madre.
Ogni volta che Gli presentiamo le nostre miserie e le nostre stupide decisioni, Lui ci dice: “non vi condanno”; ogni volta che ricadiamo negli stessi errori ci dice nuovamente “non vi condanno”; ogni volta che ci presentiamo davanti a Lui delusi dal modo in cui abbiamo condotto la nostra vita, Egli ci consola e ci assicura: “non vi condanno”; ogni volta che ci sentiamo poco apprezzati, incompresi, emarginati, Lui ripete “non vi condanno”. È la misericordia racchiusa in questa frase che ci fa venire voglia di superare i nostri limiti e di abbracciare, con determinazione, un nuovo cammino, una nuova vita.
Nel racconto della donna sorpresa in adulterio, l'accusa degli scribi e dei farisei ricade solo sulla donna; Nessuno chiede a Gesù se l'uomo che era con lei dovesse essere ucciso, secondo la Legge di Mosè. L'immagine mette a nudo l'ipocrisia di una società che puniva le donne, ma non utilizzava le stesse misure per i fallimenti degli uomini. È una società che discrimina le donne nei confronti degli uomini. Gesù, difendendo la donna vessata da quel gruppo di uomini, introduce verità e giustizia in quella situazione squilibrata e ingiusta.
Sebbene oggi l’ordinamento giuridico tengano conto della fondamentale uguaglianza tra uomini e donne, permangono ancora, nella nostra vita quotidiana, pratiche e abitudini discriminatorie che minano la dignità della donna, che la umiliano e la fanno soffrire.
Non dovremmo essere più attenti a questo, anche nelle comunità cristiane? Non dovremmo, come Gesù, essere più vicini a tutte le donne che vengono offese, oppresse, discriminate, offese nella loro dignità, trattate come oggetti, per fornire loro una difesa intelligente e una protezione efficace?
Dio non solo non condanna né perdona, ma vuole che i suoi figli camminino verso una vita nuova, verso una vita che sia significativa, libera e pienamente realizzata. È proprio questo il cammino che siamo chiamati a percorrere nel tempo quaresimale.
* Padre Geoffrey Boriga, IMC, studia Bibbia nel Pontificio Istituto Biblico a Roma.