“La missione è un granello seminato in un campo sterminato”
Un convegno dal titolo “Matteo Ricci, un’eredità di amicizia, di dialogo e di pace”, presso l’Università Gregoriana di Roma, il 15 novembre 2024, ha alternato riflessioni storiche sull’eredità di Ricci e della missione gesuitica in Cina insieme ad affermazioni circa le vicende attuali e auspici sulle prospettive future nei rapporti tra cristianesimo e Cina.
Il convegno si è articolato in due momenti nettamente distinti: nella sessione inaugurale - partecipata da un vasto pubblico di studenti e studiosi dall’estero e numerosi cinesi residenti a Roma, giornalisti, il vescovo di Macerata e autorità operanti in uffici della Santa Sede, tra i quali l’arcivescovo Claudio Celli, protagonista di recenti missioni in Cina per conto della Santa Sede) - hanno preso la parola alcuni dei protagonisti del dialogo tra Santa Sede e Cina.
Il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha illustrato il pensiero di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco circa Matteo Ricci e la Cina, mostrandone la continuità e la specificità di ciascuno. Il cardinale di Hong Kong Stephen Chow ha illustrato il cammino della chiesa cattolica in Cina, soffermandosi anche sulla situazione attuale e auspicando l’approfondimento del dialogo in corso. Il padre gesuita Federico Lombardi - che è l’estensore della positio per la beatificazione - ha affermato che Ricci, campione di dialogo e incontro, ha incarnato il modello dell’inculturazione, fatto proprio secoli dopo dal padre Generale Pedro Arrupe, del quale si è appena conclusa la fase diocesana per la beatificazione.
Aula Magna dell'Università Gregoriana a Roma
L’attuale preposito generale della Compagnia di Gesù, Arturo Sosa, ha insistito sulla santità di vita di Matteo Ricci e della sua ispirazione religiosa, affermando che anche oggi Ricci è un punto di riferimento e un modello concreto per la missione dei gesuiti.
L’Università Gregoriana, l’antico Collegio Romano dove Ricci ha compiuto i suoi studi filosofici, umanistici e scientifici, ha organizzato il convegno con l’Archivio storico della Compagnia di Gesù e con il patrocinio dell’Università di Georgetown (Stati Uniti). Non è stata un’occasione in cui sono state annunciate novità: è stata piuttosto un’iniziativa che ha radunato e coinvolto soprattutto il mondo dei gesuiti legati alla vicenda missionaria in Cina, tra i direttori degli Istituti Ricci di Macau, Parigi e Taipei.
Le sessioni accademiche sono state guidate dallo studioso gesuita Nicolas Standaert dell’Università di Leuven (Belgio), che da decenni guida gli studi cristiani sulla Cina su prospettive innovative. Studiosi da varie parti del mondo, tra i quali la giovane Valentina Yang e il direttore del Centro Studi Li Madou di Macerata, don Giovanni Battista Sun. Tra gli altri studiosi Elisa Giunipero dell’Università Cattolica di Milano e Anthony Clark dell’Università di Withworth (Usa). Il filo conduttore è stato quello di cogliere il valore della missione di Ricci nella dimensione della relazione con la realtà cinese e i suoi interlocutori e amici. La missione è sempre una realtà "nel mezzo di" (in between), e deve essere vista anche e soprattutto dal punto di vista dell’altro, ovvero della ricezione e della relazione a cui la missione dà vita.
Desidero concludere questa riflessione su una interessante giornata di studi e di interazione tra studiosi da ogni parte del mondo con una considerazione. Non bisogna scordare la modesta dimensione numerica della missione di Matteo Ricci e collocarla nella giusta proporzione: alla morte del missionario umanista (1610) c’erano in tutto 16 missionari gesuiti in Cina e piccole comunità che non superavamo i 3000 credenti, tra i quali gli alti letterati non erano più numerosi delle dita di una mano. Una realtà modestissima, una percentuale del tutto irrilevante, in un Paese immenso di circa 150-200 milioni di abitanti, già allora il più popoloso al mondo.
La missione è, da sempre, un granello seminato in un campo sterminato. Il numero dei missionari, la loro preparazione e le loro qualità sono sempre radicalmente inadeguati alla vastità dell’impresa: ora, come nel passato e (c’è da credere) anche nel futuro. La missione in Cina è una eloquente evidenza del fatto che il significato di un’esperienza cristiana non è misurabile in termine di risultati contabili, ma dalla sua qualità evangelica. E dopo più di 400 anni, l’esperienza cristiana di una manciata di missionari esteri e di pochi cattolici cinesi sono ancora una luce che continua a illuminare il presente, una miniera preziosa da cui continuiamo ad attingere per nuovi significati e direzioni.
* Padre Gianni Criveller, PIME, storico e teologo. Originalmente pubblicato in: www.asianews.it