Per amore di questo popolo

Nelle due foto. Padre Edilberto a Roma e in Mozambico Nelle due foto. Padre Edilberto a Roma e in Mozambico Foto: Yeinson G. e Edilberto M.

La mia missione in Mozambico è cominciata nell’anno 2011, subito dopo la mia ordinazione. Ricordo che quando ero stato destinato al Mozambico mi era risultato difficile accettare questa destinazione. Sognavo poter lavorare nel mondo indigena in America Latina, dove mi ero formato e che avevo in vari modi frequentato nel corso della mia formazione di base.

Chi mi ha aiutato ad accettare la destinazione e mi ha dato una chiave per impegnarmi alla missione è stato il padre Bonanomi che per anni aveva lavorato con gli indigeni a Toribío e da poco, a causa dell’età e la salute, si era allontanato da quella missione. Lui mi aveva detto una frase che mi ha guidato in tutti questi anni: “non importa dove si trovi la missione, la cosa importante è che tu sappia amare le persone e i popoli che vi troverai... in America latina, in Africa, in Mozambico”.

Con questa luce ho affrontato le vicissitudini, non sempre facili, di questi 12 anni di missione, i miei primi dodici anni.

Quando arrivai in Mozambico la prima missione è stata quella di Maúa dove lavorava da più di trent’anni il famoso padre Frizzi che abbiamo perso in occasione della pandemia. Era il tempo e lo spazio che tradizionalmente si destinava ai missionari che arrivavano per la prima volta in Mozambico. Era il tempo dell’inculturazione, dell’apprendimento della lingua, dello stare zitti per imparare vedendo quel che si muove accanto a noi.

Dopo quell’anno di introduzione alla missione nel Nord del Mozambico Maúa è diventata anche la mia prima missione ed ho trascorso lì i primi quattro anni. Lo schema missionario del padre Frizzi era molto strutturato e non era facile entrarvi... ad ogni modo cercavo di collaborare con le sue orientazioni e il calendario di visita alle comunità ma poi ho anche cercato di trovare spazi pastorali “vergini”, non adeguatamente impegnati dal progetto del padre Frizzi, e la cosa più evidente che ho trovato è stata la pastorale nel variegato e amplio mondo giovanile.

In questo processo ho trovato una solida alleata e generosa collaboratrice in Suor Dalmazia, missionaria della Consolata da anni operante in questo territorio. Insieme abbiamo fatto tante cose come per esempio fondare la prima biblioteca della regione destinata agli studenti. Era impossibile trovare un libro, quasi di qualsiasi tipo. Grazie alla collaborazione di persone e associazione generose del Portogallo... abbiamo ricevuto da la i primi fondi della nostra biblioteca che poi è stata arricchita anche da libri che abbiamo potuto comprare per mezzo di un progetto.

Nella radio comunitaria del villaggio abbiamo aperto un programma il sabato mattina destinato alla formazione e all’evangelizzazione e poi, una cosa importante soprattutto per la gioventù, abbiamo organizzato una bella squadra di calcio che non faceva brutta figura nei tornei regionali.

Questi anni a Maúa sono stati davvero belli. Poi il primo trasferimento alla parrocchia di Lichinga. Quella è stata una esperienza parecchio impegnativa anche perché, a causa di una crisi economica che si stava propagando nella regione, in quel momento me la stavano consegnando quasi totalmente senza fondi. 

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Questa che era una difficoltà importante al principio di questo impegno alla fine è diventata una occasione di crescita persona e anche comunitaria. Comunitariamente si trattava di aiutare la comunità a diventare responsabile della parrocchia, delle sue strutture, dei suoi servizi che erano per tutti. Ricordo che il tempo parrocchiale era sporco, con il tetto fatto a pezzi, bisognoso di urgenti manutenzioni e riparazione. L’abbiamo fatto con l’impegno di tutti, per una volta non è stato necessario mettersi a cercare sussidi, fondi e collaborazione fuori la comunità ma li abbiamo trovati dentro e questo cammino ha contribuito non poco a rafforzare la comunità parrocchiale.

Poi è stata anche una occasione di crescita personale. Bisognava cercare fonti di mantenimento, più concretamente un lavoro. io lo trovai, grazie alla collaborazione del padre Álvaro López, nell’università della  cattolica del Mozambico dove ho cominciato ad insegnare.

Un altro processo importante che abbiamo fatto e che ha fatto crescere la parrocchia e la comunità locale dei missionari della Consolata è stata la creazione di un collegio di istruzione privata alla portata delle economie delle famiglie della zona. C’era una casa che apparteneva alla comunità molto grande ma in disuso. Si era cercato di affittarla ma nessuno si mostrava interessato in quella struttura che era troppo grande per tante cose... e allora noi stessi le abbiamo dato nuova vita .

Dopo un po’ di lavori di ristrutturazione quella è diventato un collegio che è nato nel 2020 con 45 studenti (tra l’altro nato con la pandemia che ci ha obbligato a chiudere dopo solo 5 mesi di funzionamento) ma che oggi sta già ospitando 267 studenti. Quando si è cominciato c’era solo la prima elementare, poi ogni anno si aggiungeva un nuovo gruppo... e adesso sono quasi complete le classi elementari. Per il 2025 il progetto prevede raggiungere i 500 studenti dividi in corsi mattutini e pomeridiani. Anche quello certamente un impegno importante ma che ci ha fatto crescere e ci sta portando poco a poco sulla strada dell’autosufficienza economica che è necessaria per il nuovo volto della missione oggi. I tempi sono ormai maturi.

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