Il settimo viaggio in Ucraina

Il convento di Lubieszow; i campi di girasole (le derrate alimentari sono diventate obbiettivo strategico), i segni evidenti della piena in due icone Il convento di Lubieszow; i campi di girasole (le derrate alimentari sono diventate obbiettivo strategico), i segni evidenti della piena in due icone Foto Luca Bovio
Lutsk

Questo viaggio si svolge nel cuore dell’estate ed inizia con una prima tappa nella città di Lutsk, la prima che si incontra entrando dalla frontiera più a nord dalla Polonia. Questa città come del resto la regione chiamata Volyn, è la zona più lontana dal fronte. Per questo motivo più di 100 mila rifugiati hanno trovato qui accoglienza. 

I problemi non mancano considerando che la zona è economicamente povera. Nella regione si trovano decine di villaggi medio piccoli e qui la gente sono prevalentemente contadini. In questa zona, fortemente influenzata dalla vicina Polonia, sono avvenuti scontri molto crudeli alla fine delle seconda guerra mondiale. La presenza dei cristiani cattolici è bassa; sono molto più numerosi gli ortodossi. Quasi ogni nostro viaggio è iniziato da qui perché e la strada più diretta per proseguire nel paese arrivando dalla Polonia. Conosciamo il Vescovo Mons Vitalii; la chiesa locale è impegnata nell’aiutare i rifugiati che hanno trovato riparo in questa regione.

Lubieszów

Il giorno successivo di buon mattino ci mettiamo in viaggio insieme a don Paolo, il vicario del Vescovo, in direzione nord verso Lubieszów  a 130 km da Lutsk. Lubieszow e una cittadina di circa 10 mila abitanti posta a soli 20 km. dal confine con la Bielorussia. Lo scopo di questa breve visita è quello di visitare un chiesa e il convento adiacente che il Vescovo vorrebbe dare al nostro Istituto, per una possibile futura presenza di lavoro missionario. La chiesa dedicata ai SS Cirillo e Metodio è stata costruita dai Cappuccini nel XVIII secolo; con la seconda guerra mondiale e l’inizio dell’occupazione russa, i frati hanno dovuto abbandonare tutto. Dopo il convento divenne la stazione della Polizia locale e la chiesa una sala di ginnastica. Quando nel 1992 cadde il muro di Berlino e la democrazia ritornò in Ucraina il complesso fu restituito alla diocesi locale. Oggi la comunità locale e formata da circa 30 fedeli che la domenica partecipano alla S. Messa presieduta da un parroco polacco che vive a 60 km da qui. L’intero edificio ha bisogno di importanti lavori di manutenzione, già iniziati con il cambio del tetto. Vedremo se in futuro il discernimento che faremo coi superiori ci porterà forse un giorno a lavorare in questo luogo. 

Dopo questa breve visita ci dirigiamo verso Kiev che raggiungiamo dopo circa 6 ore di viaggio. Ci alloggiamo in Nunziatura per riprendere il viaggio il giorno successivo in direzione di Cherson. La sera faccio una passeggiata nella centro della città per sgranchire la gambe dopo le lunghe ore di viaggio e per gustare le bellissime chiese e palazzi illuminati. 

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Cherson

La distanza che separa  Kiev da Cherson è di quasi 600 km passando per la strada più diretta e sicura. Il GPS la mostra chiusa ma in realtà è percorribile. Il viaggio ci regala dei paesaggi suggestivi. La giornata calda e soleggiata fa brillare intensamente le sconfinate distese di coltivazioni di girasoli che spesso incontriamo. 

Sono abbastanza numerosi i grandi camion che viaggiano in direzione sud carichi di cereali e frumento per poi essere imbarcati nelle gigantesche navi cargo nel grande porto di Odessa e da li partire per tutto il mondo. Purtroppo i magazzini portuali sono diventati ultimamente obiettivi sensibili e spesso sono stati colpiti causando la perdita di tonnellate di prodotti. Anche il mancato accordo sul grano contribuisce a far lievitare i prezzi a livello mondiale di queste materie prime così importanti per sfamare tantissime povere popolazioni nel mondo.

Torniamo a Cherson per la seconda volta dopo essere stati qui a marzo. La situazione non è cambiata. La città prima occupata e poi liberata è continuamente sotto tiro, giorno e notte. Il fiume è la linea naturale del confine. Abbiamo con noi aiuti sanitari. In particolare abbiamo raccolto pastiglie utili per disinfettare l’acqua. Il 6 giugno  a circa 100 km da qui in direzione nord fu fatta saltare la diga sul fiume a Kakhovka. L’esplosione della diga liberò lungo il tracciato del fiume una piena che travolse e allagò villaggi e città dove ancora oggi non c’è acqua potabile.

A Cherson  il parroco don Massimo ci indica la pareti delle case con il segno lasciato dall’acqua della piena. Molte case sono state invase dall’acqua, quelle più fragili sono state distrutte, alcune persone, rimaste senza niente, sono ospiti in parrocchia.

Cherson è una città disabitata. Prima del conflitto contava con circa 300 mila abitanti. Oggi si stima che siano tra i 20 e i 25 mila. La mattina, nelle zone più lontane dal fiume, troviamo aperto qualche negozio e il mercato, invece nei pressi del fiume non si vede quasi nessuno durante tutto il giorno. I mezzi pubblici, dove è possibile, svolgono ancora il loro servizio e nei pressi delle fermate degli autobus ci sono dei rifugi dove la gente può trovare riparo quando la città è bombardata.

Nel primo pomeriggio le strade dell’intera città si svuotano, i mezzi si fermano e dalle nove di sera fino alle cinque del mattino c’è il coprifuoco. Per motivi di sicurezza è proibito accendere luci nei piani più alti dei palazzi anche se poi sono poche le persone che abitano in posti elevati perché ritenuti troppo pericolosi.

La mattina visitiamo l’ospedale pediatrico della città accompagnati dalla dottoressa responsabile. Ci racconta che prima della guerra qui nascevano annualmente circa 1500 bambini e invece oggi si registrano poco più di una ventina di parti al mese. La sala parto è una semplice stanza con l’occorrente e, a fianco, ce un’altra stanza che è la sala operatoria; quando ci affacciamo vediamo che un intervento è in corso. 

Tutte le attività dell’ospedale sono state trasferite al piano terra. Il quarto piano tempo fa è stato colpito da un razzo, ci è concesso visitarlo brevemente; dal balcone più alto si può vedere tutta la città.

Scendiamo nelle cantine dove si trovano i locali più sicuri. Qui ci sono delle brandine con i sacchi a pelo. Durante gli allarmi questo è il luogo di riparo. A fianco di esso si sta lavorando per organizzare una sala operatoria. 

All’esterno dell’ospedale vediamo un grande generatore di corrente ancora imballato che è arrivato con una serie di aiuti umanitari. La dottoressa ci dice che sarebbe molto utile ma purtroppo non ci sono i cavi per collegarlo e renderlo operativo. Promettiamo cercare di procurarceli.

La parrocchia del sacro cuore, dove siamo ospiti, è uno dei pochi centri di distribuzione di aiuti agli abitanti. Il giorno precedente al nostro arrivo è stata organizzata una distribuzione e a circa mille persone è stato consegnato del cibo. 

Questa distribuzione è rischiosa. Ogni assembramento di persone costituisce un potenziale obiettivo. E’ sufficiente che questa informazione arrivi dalla parte opposta del fiume e si potrebbero avere conseguenze gravi. Per questo motivo il giorno e l’ora della distribuzione sono spesso cambiati e mai fatti con una certa regolarità anche se gli aiuti oggi stanno arrivando con bastante regolarità; senza di essi sarebbe difficile sfamare i cittadini di questo luogo. 

Oltre alla parrocchia in città è stata aperta una mensa organizzata dai padri domenicani che, pur non vivendo qui, assicurano il cibo e ciò che occorre per la distribuzione. Ogni giorno vengono preparati 1000 pasti. Si possono consumare sul posto oppure una rete di volontari li consegna nelle case. Anche la parrocchia greco cattolica della città guidata dai pp. Basiliani è impegnata nella distribuzione degli aiuti. 

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Fedorivka

Nel pomeriggio di questa intensa giornata ci rechiamo in un villaggio fuori città, di nome Fedorivka a situato a poche decine di chilometri a nord di Cherson. Fedorivka è uno dei tanti villaggi colpiti dall’inondazione avvenuta a causa della distruzione della diga. Per arrivare qui occorre passare diversi check point dei militari. Ne vediamo alcuni su una macchina che hanno appena abbattuto un drone: i resti sono ancora visibili e fumanti in un campo non lontano da lì.

Nel villaggio siamo accolti dal responsabile con la moglie. Portiamo un generatore di corrente perché qui gli abitanti non hanno più di due ore di corrente al giorno, troppo poca per tenere carichi i telefonini tutto il giorno; il generatore sarà messo a disposizione nella chiesetta del villaggio. 

Ci accompagnano in una breve visita e ci raccontano che l’acqua dell’inondazione è rimasta stagnante per più di due settimane; il terreno pianeggiante non favoriva il deflusso. Molte case e fienili sono stati trascinati via insieme ad animali. Sacchi di cereali custoditi nei magazzini sono marciti. Chi è rimasto prova ora salvare ciò che è possibile salvare. 

In questi villaggi per motivi igienici esiste ancora il divieto di bere l’acqua dai pozzi. Per questo si cercano alternative come autopompe (una purtroppo si è guastata), acqua in bottiglia e pastiglie disinfettanti. In tutti i campi e attorno al villaggio persiste il cattivo odore del marciume. 

Portiamo del cibo a una coppia di anziani. Ci raccontano che durante il tempo dell’occupazione nella loro casa tenevano nascosti 6 soldati ucraini in fuga ma poi arrivarono le forze speciali russe che li stavano cercando. La signora li nascose in un locale e diede loro il rosario dicendo: “che crediate o no, usatelo!”. Lei stessa informò i russi che non aveva mai visto i militari ucraini e allora questi se ne andarono. Quando si furono allontanati i soldati ucraini, a piedi, scapparono fino a Mikolajow. 

Tornati in città trascorriamo la serata in parrocchia dopo aver fatto una breve passeggiata nei dintorni. Come spiegavo più sopra il quartiere appare deserto e per tutta la notte siamo stati svegliati dal suono delle sirene e dai colpi di artiglieria.

*Missionario della Consolata in Polonia

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