Civiltà Cattolica: dottrina della Chiesa non è monolite, è corpo vivo

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La dottrina della Chiesa “non va ridotta a qualcosa di meramente regolativo e informativo, espungendone il carattere vissuto e trasformativo proprio del dinamismo della fede guidato dall’annuncio dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo”. E’ uno dei passaggi fondamentali di un corposo articolo pubblicato sull’ultimo numero in uscita di “Civiltà Cattolica” dal titolo “La dottrina al servizio della missione pastorale della Chiesa” a firma del padre gesuita Thomas P. Rausch. L’articolo muove dalla domanda che pose San Vincenzo di Lerino, nel V secolo: “Un progresso della religione ci può essere nella Chiesa di Cristo?”. Oggi, commenta padre Rausch, si potrebbe tradurre così la domanda: “Come si custodisce e trasmette nel tempo il prezioso deposito della fede? In che senso si può parlare di evoluzione della dottrina?”.

La dottrina della Chiesa non è un monolite
Il teologo gesuita cita quindi quanto al riguardo ha affermato Papa Francesco, proprio nell’intervista al direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro: “San Vincenzo di Lerino fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce”. E aggiungeva: “La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumatura è errata”.

La dottrina è connessa con la storia vissuta dalla Chiesa
Padre Rausch ricorda dunque che la Costituzione conciliare Dei Verbum ha messo in evidenza “la natura storica della Chiesa” ed ha riconosciuto che la comprensione “tanto delle cose quanto delle parole trasmesse”, “progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo”. Quindi, prosegue il gesuita, “emerge chiaramente che la dottrina, nel suo dinamismo, è intimamente connessa con la storia vissuta dalla Chiesa: nell’annuncio e nella custodia della fede così come nell’approfondimento spirituale e nell’elaborazione teologica”. E riprendendo il discorso di Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio, evidenzia che “l’approfondimento e la riesposizione della dottrina devono tener conto del nesso vitale tra la dottrina e l’annuncio”. Un principio, quest’ultimo, a cui ricorre Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium.

Dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo
L’articolo fa dunque riferimento a quanto affermato da Papa Francesco nell’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, a Firenze, laddove ha affermato che “la dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo”. Nel capitolo dedicato al rapporto tra dottrina e dogmi, il gesuita osserva che “lo sviluppo della dottrina viene man mano che la Chiesa penetra più profondamente il mistero di Dio, profittando dell’esperienza della vita del popolo fedele e della riflessione teologica, che deve affrontare diverse sfide”. Fa così riferimento ad alcuni temi centrali come la libertà religiosa, la salvezza fuori della Chiesa e la schiavitù su cui c’è stato un approfondimento ed è avvenuto “un chiaro sviluppo della dottrina”.

La fondamentale pastoralità della dottrina
“La Chiesa – scrive ancora padre Rausch, riecheggiando Yves Congar – deve essere missionaria non soltanto sul piano del ministero pastorale, ma anche su quello delle idee e della verità”. E annota che “la preoccupazione di Papa Francesco appare oggi proprio quella di ricontestualizzare la dottrina al servizio della missione pastorale della Chiesa”. Qualcosa, soggiunge, che “può condurre a evoluzioni e correzioni guidate dalla fedeltà al kerigma essenziale e ai principi che esprimono l’aspetto duraturo del messaggio cristiano”. La prospettiva di Papa Francesco mette quindi in evidenza la “pastoralità della dottrina”. La dottrina, conclude il teologo gesuita, “va dunque intrepretata in relazione al cuore del kerygma cristiano e alla luce del contesto pastorale in cui verrà applicata, sempre ricordando che la suprema lexi, deve essere la salus animarum, la salvezza delle anime”. (A cura di Alessandro Gisotti)

 

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