Il movimento è un segno di vita

Il movimento è un segno di vita Le foto: archivio MaKau; Francisco Martínez
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Non ho mai visitato il Mar Morto ma so che non può sostenere la vita perché troppo salato. Situato in una depressione fra Israele e Giordania, la più profonda al mondo, è alimentato soprattutto dal fiume Giordano e l’acqua che riceve è portata via in buona parte dall’evaporazione che è rapida nel clima caldo del deserto; da li la forte concentrazioni di sali che non evaporano ma si accumulano in questo mare unico al mondo. Questa peculiarità geografica aiuta a capire quel che voglio riflettere: il movimento è un segno di vita.

Come il Mar Morto non può sostiene gli esseri viventi proprio perché le sue acque non si mescolano con quelle di altri mari, lo stesso vale per la nostra vita che ha bisogno di costanti movimenti e ricambi. Non sto parlando evidentemente dello spostarsi da una posizione all'altra ma di qualcosa di molto più importante, tanto importante come la respirazione che ci permette di vivere: moriremmo se non fossimo in grado di espellere l'anidride carbonica che la respirazione produce.

È normale che ogni cambio comporti un certo grado di stress e preoccupazione: anche noi Missionari della Consolata siamo preoccupati per il prossimo Capitolo Generale perché da questo dipende in parte il nostro futuro. Ma se poi leggiamo i documenti che sono stati fatti in preparazione di questo evento è incoraggiante vedere come questi, senza addolcire nulla, siano stati onesti nel riconoscere ciò che siamo, ciò che siamo diventati e ciò che sogniamo di essere come Istituto; questo dimostra che non siamo come il Mar Morto. 

Come nella storia dell'umanità le differenze fra ideale e reale hanno sempre causato disagio ma allo stesso tempo progresso così nel nostro Istituto la mancanza di perfezione non è solo sinonimo di cose che non vanno bene ma può essere una espressione della quantità di lavoro che dovremo fare e questo potrebbe far ben sperare nel futuro. La lotta quotidiana per raggiungere un ideale diventa un costante invito alla conversione e anche così ci rende rilevanti nel mondo come testimoni del vangelo.

Il nostro stesso carisma di evangelizzatori ad gentes suppone movimento: senza di lui non saremmo fedeli al sogno del nostro Fondatore e avremmo perso noi stessi. Anche se affrontiamo sfide a volte epocali non possiamo fermarci per guardare solo a noi stessi ma dobbiamo continuare a ricercare gli spazi e i contesti "ad gentes" che esige la nostra vocazione. Non possiamo perdere questa vitalità e, come dice papa Francesco, dobbiamo essere sempre in uscita perché nel momento in cui perdiamo questo anelo inizia la nostra decadenza.

È un indicatore di ottimismo, di speranza e fiducia nel futuro la fatica e l'impegno di rinnovare il nostro spazio missionario trovando anche volti e persone nuove. Cambiare il nostro modo di guardare il mondo e le persone  è la base della missione ad gentes perché è segno che riusciamo a vedere l'immagine di Dio in ciascuno di loro. 

Questo è anche l'obiettivo del periodo quaresimale. La comunità diventa quasi ideale quando i confratelli riescono non solo a tollerarsi l'un l'altro, ma a vivere insieme e in armonia, aiutandosi a portare la propria croce e guardandosi non come rivali ma come collaboratori e compagni di cammino. Tutto questo non è qualcosa che accade e basta ma è conseguenza di un viaggio impegnativo e complicato che richiede manovrare negli angoli bui del cuore umano. Non c'è da stupirsi che Gesù lo descrivesse in questo modo: "chi vuole essere mio discepolo rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24). 

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Concludendo sarebbe anche giusto ricordare che il movimento può essere un segno di vita, ma non sempre è segno di crescita. Certo, hai capito bene! Anche se il movimento è un segno positivo che siamo vivi e stiamo facendo qualcosa, non dovremmo accontentarci di essere solo nel movimento. Il nostro obiettivo dovrebbe essere la crescita. Quando non c'è crescita, qualunque movimento facciamo è sterile e infruttuoso. Per questo si può parlare di stagnazione statica, ma anche di stagnazione dinamica o ciclica, riferendosi alle diverse modalità di mancata crescita. Un missionario che ha perso ogni entusiasmo nella missione, ama la routine, non è disposto al trasferimento ma preferisce il confort e la sicurezza è come una persona che cerca di remare su una barca in un lago asciutto: non importa la quantità di energia, tempo e buona volontà che investa remando, il risultato sarà sempre lo stesso: non si muoverà mai di un centimetro. Oppure assomiglia a un pollo che ruota nel raggio di uno spago che lo tiene legato a una zampa: non importa quanti giri faccia, non si muoverà nemmeno di un centimetro più in la di quanto gli permetta la corda che lo detiene. Solo quando lo Spirito di Dio nelle nostre coscienze ci spinge fuori dalla stagnazione spirituale, allora saremo non solo pronti, ma anche capaci della missione ad gentes.

Quindi in questo periodo quaresimale Cristo ci ricorda che il movimento dentro di noi è fondamentale e solo così il nostro impegno per gli altri può essere significativo per noi e per loro. Vi auguro un significativo movimento interiore, cioè crescita verso il Signore.

* Padre Jonah Makau è Missionario della Consolata e vive in Roma

 

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