Festival della Missione. Essere voce di chi non ha voce

Festival della Missione. Essere voce di chi non ha voce Foto Angelo Casadei
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Mi chiamo Monica e sono Friulana, nata a Pordenone e quindi geograficamente prossima a  quella Jugoslava dove, nei primi anni novanta, si scatenarono conflitti o vere e proprie guerre. Io sentivo la pressione e la sofferenza della gente e assieme a un gruppo di amici decidemmo di andare a vedere e di non fermarci al giudizio che leggevamo sui giornali o ascoltavamo per mezzo della radio. All’epoca avevo 22 anni e gli altri erano più o meno della stessa età; il papà di uno di loro ci prestò un furgone e partimmo. Il senso profondo di quell’esperienza giovanile coincideva perfettamente con il progetto “Operazione Colomba”, voluto da Don Oreste Benzi e del quale anni dopo divenni volontaria: vivere sulla propria pelle il conflitto per poter essere di aiuto alle popolazioni; essere testimoni ed essere presenti faceva davvero la differenza nella vita delle popolazioni inermi e vittime. La non violenza salva; chi è disarmato salva. Noi siamo scorta civile non armata per le vittime e ci approfittiamo di una cosa profondamente ingiusta ma alla fine utile al nostro scopo: in una guerra la vita dello straniero vale di più. Noi ne facciamo un punto di forza che utilizziamo perché sappiamo che uccidere uno di noi o uccidere un nostro accompagnato ha un prezzo molto elevato politicamente e spesso i violenti non sono in condizioni o preferiscono non pagare questo prezzo.

Oggi sono in Colombia da 14 anni e accompagno alcune “comunità di pace”, conformate da contadini che vivono nella regione di Antiochia, al nord-ovest del paese, che dal 1997 vivono in mezzo a un conflitto che contrappone da una parte la guerriglia e dall’altra le forze paramilitari e lo stesso esercito colombiano. Questo è il mio compito. 

Magari a voi potrà sembrare una cosa straordinaria ma in realtà sono straordinarie le vite delle persone che  accompagniamo: una comunità di contadini e contadine perseguitati da più di 30-40 anni di un conflitto e che continuano a resistere dopo tanti anni e anche tanti morti. 

Questi contadini in più occasioni sono stati obbligati a lasciare le loro povere case, gli animali e le coltivazioni per scappare; pensate a queste persone che ogni tanto devono abbandonare la loro terra e, con i bambini con quelle quattro galline che sono riusciti a portarsi dietro, ricominciare ogni volta da capo. Vivono da sfollati e così da decenni.

La ragione di tutto questo è economica: la violenza e la guerra fa spazio alle imprese multinazionali e ai mega progetti commerciali che prevedono porti e vie di comunicazione libere... per permettere la facile uscita di oro, carbone, diamanti e non ultima anche la coca.  La regione di Antiochia è  sotto il controllo dell’Ngrangheta Calabrese, non esce un grammo di coca senza che loro diano il permesso: loro sono quelli che hanno il potere e invece gli schiavi sono i contadini  obbligati alla coltivazione della coca dai diversi gruppi armati. La coca da la possibilità di mantenere la famiglia e procacciarti il mais, i fagioli e il riso.

Queste comunità di pace sono sorte grazie alla spinta del vescovo Mons. Cansino, che sarà poi assassinato in Cali qualche anno dopo, e loro hanno deciso una cosa molto semplice: la neutralità, l’assoluto rifiuto di mettersi in relazione con qualunque gruppo armato sia legale che illegale, e non coltivare coca, non usare armi e lavorare in maniera collettiva perché tutto si fonda su una sola parola: “coscienza”. Nel momento in cui tu hai coscienza di quello che sta veramente accadendo con tutte le sue conseguenze sarai libero.

Dal 1997 a oggi queste comunità di pace hanno subito più di 300 morti: il più piccolo aveva 18 mesi. L'esercito regolare colombiano insieme ai paramilitari lo ha tagliato a pezzi  con la sorella di 7 anni, il papà, la mamma e un’altra famiglia anche loro con un altro minore. Ricordo che quando arrivai in mezzo a loro rimasi scioccata perché nelle loro riunioni dicevano “quando ci uccideranno” (no “se ci uccideranno”)... “ci troveranno ancora in piedi”. Lo scopo della nostra presenza è allora cercare di evitare queste morti facendoci da scudo come ho spiegato sopra.

Noi li abbiamo accompagnati per anni, andando a piedi o andando in mulo e nel momento in cui ci troviamo di fronte a gruppi armati legali o illegali chiediamo rispetto della vita,  rispetto dello spazio, rispetto del lavoro della comunità di pace

Parlando di noi amo usare le parole di Annalena Tonelli, un’altra grandissima missionaria uccisa in Somalia alcuni anni fa, che aveva cominciato un discorso dicendo “io sono nessuno”. Anche noi siamo nessuno ma questo vivere accanto a queste persone tutti i giorni con le loro difficoltà ci rende migliori. Come le persone che accompagniamo anche noi diventiamo trasparenti e viviamo senza filtri. Loro sono libere di voler morire nel loro territorio perché sanno che perdendolo perderebbero comunque la vita. Questa mia presenza in mezzo a voi è funzionale solo a un bisogno importante: essere voce di chi non ha voce.

* Monica Puto è una volontaria dell’Operazione Colomba, associazione nata nel 1992 in occasione della guerra dei Balcani, che manda volontari come scorte civili e disarmate al servizio delle vittime di conflitti. Monica da 14 lavora in Colombia con le “Comunità di pace”.

Ultima modifica il Giovedì, 29 Dicembre 2022 06:56

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