2 Mac 7,1-2.9-14;
Sal 16;
2Ts 2,16-3,5;
Lc 20,27-38.
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui
Questa domenica siamo chiamati a riflettere sulla difficile dimensione della fede nella resurrezione e quindi sulla morte, uno dei temi principali della Liturgia della Parola di questa 32 Domenica del tempo Ordinario.
Iniziamo la riflessione rispondendo ad una domanda molto complessa e difficile anche per noi cristiani: “Quale senso avrebbe la vita se tutto finisse con la morte?” a questa domanda solo Gesù ha dato una risposta: in grazia della Sua resurrezione, tutti risorgeremo. Gesù vincendo la morte dona anche a noi la possibilità di avere una vita eterna ed immortale.
Il libro dei Maccabei ci presenta la fede dei sette fratelli che erano convinti che Dio li avrebbe ricompensati con una risurrezione: “dopo che saremo morti per le sue leggi, Dio ci risusciterà a vita nuova ed eterna”- disse uno dei sette a nome di tutti. Perché, come ha detto Gesù: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui ”.
Dio ci risusciterà a vita nuova ed eterna
La narrazione del martirio dei sette fratelli assieme alla loro madre inizia con questa frase introduttiva: “ci fu anche il caso di sette fratelli” per fare un collegamento con la storia precedente del martirio di Eleazaro che subì il supplizio per la sua fede ed accettò la morte perché si rifiutò di mangiare “carni suine proibite”, accettando la morte Eleazaro volle essere esempio per i giovani: “mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e generosamente per le sante e venerande leggi” .
A questo punto l’attenzione si sposta su questi sette fratelli che, assieme alla loro madre, non accettano mangiare carni suine, che secondo la tradizione mosaica li avrebbero resi impuri, nemmeno sotto minaccia di morte. Sapevano che sarebbero stati uccisi ma erano sicuri che avrebbero ricevuto la ricompensa da Dio.
Il numero “sette” suggerisce che l’esempio di Eleazaro è stato effettivamente imitato da tutti i giovani: sette infatti è il numero della pienezza, il numero dei giorni della Creazione biblica. Questi sette giovani sono morti perché costretti a scegliere tra la fedeltà alla legge e una morte dolorosa. Sono morti perché hanno dovuto scegliere tra la fedeltà al loro credo e la slealtà, il tradimento nei confronti della legge di Dio.
Nelle loro risposte ai persecutori, che sono il testo della prima lettura, si esprime questa fede profonda: “siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi”; “dopo che saremo morti per le sue leggi, Dio ci risusciterà a vita nuova ed eterna”; “da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo”; “è bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati”.
Dio è Dio dei viventi perché tutti vivono per lui
Nel Vangelo, Luca narra che i Sadducei, che non credono nella risurrezione, raccontando la paradossale storia di una donna che in successione è stata moglie di sette fratelli, deceduti uno dopo l’altro, pongono a Gesù una domanda tesa solo ad una visione totalmente immanente della vita: “questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie?”. La risposta di Gesù apre verso una visione che va in una direzione completamente opposta ed escatologica della vita: “i figli di questo mondo… poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Questa è la fede nella resurrezione. Ciò che noi dovremmo desiderare non è una vita terrena dove ci si sposa, ecc.. ma una vita celeste che non è il ritorno o un proseguimento della vita terrena ma una resurrezione che inaugura una vita completamente e centrata nella pienezza della relazione con Dio. Una vita dominata dall’amore perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio, e ciò che vince la morte non è la vita, ma l’amore.
Questo vangelo ci invita a vivere non solo per noi stessi appagati dal possesso di cose e persone, ma secondo la logica dell’amore, dell’amicizia, della condivisione, della comunione. Anche le domande più difficili come “qual è il fine della vita?”, “sono capace di amare e di essere amato?”, “per chi e per che cosa vivo?” possono trovare una risposta se ci impegniamo a vivere in modo concreto le tre virtù che portano a Dio: fede, speranza e carità-amore.
Il discepolo missionario crede alla risurrezione affinché, come ha ben detto Papa Francesco, ogni suo atto di amore cristiano non sia effimero e fine a sé stesso, ma diventi un seme destinato a sbocciare nel giardino di Dio, e produrre frutti di vita eterna.