Ma che cosa possiamo fare per difendere questo popolo abituato alla selva, alla cacciagione, a vivere dell’abbondanza dei doni della madre terra che a queste latitudini è sempre stata particolarmente generosa?
È la domanda che si fa il padre Flavio Pante che da parecchi anni accompagna i Pigmei nei loro accampamenti che, rincorrendo false promesse, hanno abbandonato la sicurezza della selva, e sono venuti nei pressi delle piste che attraversano la regione di Bayenga.
Le promesse che non si compiono sono principalmente quelle dell’educazione che arriva solo a singhiozzi e mai attenta al linguaggio e la cultura di questo popolo. Poi c’è il tema della salute, invece di salute sono arrivate le malattie, e la più temibile l’Aids, frutto della promiscuità e dell’instabilità che i processi predatori della selva impongono un po’ ovunque.
I pigmei da sempre sono stati il popolo della foresta, abili cacciatori, conoscevano tutti i segreti della frutta e della selvaggina sempre abbondante nel loro territorio. Gli animali della selva, che sono il loro alimento principale, ispiravano anche la cultura e perfino i criteri estetici... per esempio i denti più belli sono quelli del leopardo... e quindi anche i nostri devono essere tagliati nello stesso modo.
Loro, signori della selva, agli occhi degli “altri” sono invece un popolo particolarmente depresso perché incapace di affrontare e trasformare la foresta tropicale, per adeguarla ai loro bisogni. Definitivamente un altro approccio.
Questa lettura ingiusta e razzista del popolo Pigmeo, che invece aveva scelto di vivere in simbiosi con quella selva che li sosteneva e alimentava, rispettandola, senza punirla né violentarla, non è stato un problema grave almeno finché non si è cominciato a sfruttare la selva per motivi economici: il legname pregiato, che è sistematicamente saccheggiato, e l’oro. Il metallo prezioso è il bene di rifugio che i capitali cercano quando, nell’oceano delle finanze mondiali, c’è un po’ di maretta o la burrasca regna incontrastata. I sedimenti alluvionali del Congo, lo stesso che nell’Amazzonia, sono pieni di “briciole d’oro” che si possono raccogliere con una tecnologia neanche così complicata ma, come quasi tutti i processi minerari, devastante e altamente inquinante.
Chi normalmente guadagna in questa corsa all’oro non sono le popolazioni locali e forse neanche i governi regionali, ma le grandi compagnie che con i loro soldi alimentano cattive politiche ambientali e corruzione e hanno l'indicutibile potere di fare arrivare ai mercati il loro pregiato prodotto.
L’oro e il legname pregiato significano in realtà la morte della grande foresta pluviale del Congo; con la foresta muore anche la ricca biodiversità che contiene e comincia anche il massacro cultuale, ma poi anche fisico, di coloro che hanno fatto di questa foresta la loro casa comune. Questo è il dramma dei Pigmei.
Padre Flavio Pante, Foto SozziJA
I missionari non arrivano in elicottero alla missione, cosa che invece fanno con regolarità gli intermediari delle grandi compagnie estrattive quando vengono a raccogliere il minerale prezioso. I missionari arrivano percorrendo le stesse strade che tutti percorrono e fra le mani hanno una buona notizia che aiuta a ripensare criticamente i problemi di tutti i giorni, le relazioni fra le persone, i bisogni dei più poveri fra i quali anche i Pigmei. Non è facile la missione a queste latitudini. C'è bisogno di ascolto, di una sensibilità che aiuti a vedere...
Negli accampamenti dei Pigmei le persone anziane sono ancora uno scrigno di cultura, hanno il tesoro della lingua, comprendono ancora il linguaggio della selva, sanno come ottenere l’alimento di cui hanno bisogno senza danneggiare nessuno... ma, per quanto tempo ancora?
Poi ci sono bambini che per fortuna sono ancora molto numerosi: sanno fabbricare dal nulla i giochi di cui hanno bisogno... come le bambole ricavate da un tronco di banano spolpato: la fibra sono i capelli e tre grossi semi scuri la bocca e gli occhi. Loro, che sono il futuro di questo popolo, verso dove sono incamminati? Che cosa riceveranno dalle persone che li hanno messi al mondo? Chi li accompagnerà in questo cammino?
E infine ci sono i giovani che sono la forza di questo e di tutti i popoli. Loro sono quelli che hanno imparato a portare il pane sulla tavola grazie al loro lavoro “stipendiato”... ed è precisamente quella la novità che mette a repentaglio un sacco di cose. Le compagnie minerarie preferiscono assoldarli come mano di opera poco costosa per pulire, setacciare e lavare quintali di terra e di fango estratti dal sottosuolo della selva. I soldi guadagnati spesso finiscono nelle tasche di commercianti senza scrupoli che vendono l’ultimo elettrodomestico del quale devono ancora conoscerne l'utilità, un utensile che non si sa nemmeno come usare o una buona bottiglia con qualche tipo di alcolico.
È tutta una grande sfida... che bisogna mordere poco a poco, con creatività, perseveranza, pazienza. È importante ascoltare per capire quel che succede nel cuore delle persone; è importante insegnare per dare qualche strumento per interpretare ed affrontare i cambiamenti; è importante imparare per conoscere questa e altre culture dal di dentro ma, ancora più importante di tutto, rispettare.