Gn 14,18-20;
Sal 109;
1 Cor 11,23-26;
Lc 9,11b-17.
La liturgia della Parola della Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ci permette di riflettere sulla generosità e la capacità di condivisione di Gesù. Nella prima Lettura, Melchisedek, sacerdote di Dio, offrì pane e vino mentre, nella seconda Lettura, è Cristo, Sommo Sacerdote della nuova alleanza, che offrì pane e vino, dove “il pane è realmente il suo Corpo donato, il vino è realmente il suo Sangue versato”: “Questo è il mio corpo, che è per voi” e “Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue” che sono le parole dell’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena.
Questo è il mio Corpo… questo è il mio Sangue
Nell’ultima Cena, Gesù fece dei gesti che facevano parte del rituale giudaico: prendere il pane, pronunciare la preghiera di benedizione, spezzarlo e darlo ai commensali. Però in quell’atto Gesù, benché ripetesse il rituale, c’era una novità: Egli pronunciava parole nuove: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me” e “«Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me".
Per Gesù, quel pane spezzato e il vino diventano il segno della sua persona (corpo e sangue) che stava per essere consegnata alla morte e colui il quale mangia e beve partecipa alla Sua morte e alla salvezza che essa comunica. E’ dunque necessario sottolineare la generosità di Gesù. È il Signore che si mette volontariamente nelle mani degli altri, si affida loro. L’eucaristia non è semplicemente “pane” e “vino”, ma pane spezzato e vino versato, Cristo cioè si rende presente nel massimo dono, nella Sua vita donata per noi. Allo stesso modo, questa è la vita che ci viene offerta e indicata: una vita-per, una vita spesa, in perdita. Egli afferma che “questo è il mio corpo, che è per voi”. Il suo corpo è a disposizione degli uomini: è “per voi”. Il Corpo e il Sangue di Gesù sono il grande dono che Gesù ha fatto ai suoi discepoli e anche la sua morte ha un valore salvifico. Dalla messa deve uscire perdente il nostro desiderio di autoaffermazione, di essere al centro, di sfruttare pur di star bene noi e deve uscire vincente la logica del dono. Scrive Paolo: “L’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro”. Nella morte Cristo ha espresso una solidarietà concreta estrema. La sua convivialità con i discepoli ha questo significato.
Anche il comando fate questo in memoria di me va nella stessa direzione della generosità di Gesù. Noi dobbiamo fare memoria di Cristo solidale fino alla morte. Partecipando nell’Eucaristia, noi partecipiamo efficacemente all'evento salvifico della morte di Gesù: partecipazione che impegna e responsabilizza in senso di concreta condivisione, espressa nel pasto comune, con i fratelli, soprattutto con i più bisognosi. Ed è questo che Gesù ha vissuto durante la vita terrena, come leggiamo nella pagina del Vangelo: “Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”.
Li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla
La pagina del Vangelo ci presenta la moltiplicazione dei pani e dei pesci e ci fa contemplare la generosità di Gesù. Davanti a cinquemila persone stanche ed affamate, i discepoli propongono a Gesù di congedare la folla perché vada nei villaggi a trovare ristoro: mangiare ed alloggio, Gesù va nella direzione opposta dei discepoli: non si tratta di congedare ma essi stessi possono dare da mangiare anche se, come hanno fatto notare, era impossibile trovare così tanto cibo per le persone che erano presenti, almeno che si fosse comprato: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”.
Mentre Gesù parla della condivisione cioè di dare, i discepoli parlano di comprare, non hanno ancora compreso il messaggio di Gesù; mentre i discepoli si preoccupano sulla quantità e cosa mangiare, Gesù s’interessa su come mangiare: sedersi per gruppi, fare comunità “dove ognuno possa ascoltare la fame dell'altro e faccia circolare il pane che avrà fra le mani. Infatti non sarà lui a distribuire, ma i discepoli, anzi l'intera comunità”.
Gesù prendi i cinque pani e i due pesci, recita su di essi la benedizione, li spezza e li dà ai discepoli perché li distribuiscano alla folla. Gesù riconosce che il pane e il pesce sono un dono di Dio e come dono, viene ringraziato il Signore, ma allo stesso tempo come dono viene condiviso con gli altri. Gesù fa la moltiplicazione e poi dà ai discepoli da distribuire. I discepoli sono servi il cui compito è distribuire il pane e partecipare alla generosità di Gesù.
Il discepolo missionario è colui che, alla sequela di Gesù, è generoso e vive la condivisione anche del suo poco, come l’ha ben detto Papa Francesco: “ciò che abbiamo porta frutto se lo diamo – ecco cosa vuole dire Gesù –; e non importa che sia poco o tanto. Il Signore fa grandi cose con la nostra pochezza, come con i cinque pani. Egli non compie prodigi con azioni spettacolari, non ha la bacchetta magica, ma agisce con cose umili. Quella di Dio è un’onnipotenza umile, fatta solo di amore. E l’amore fa grandi cose con le piccole cose. L’Eucaristia ce lo insegna: lì c’è Dio racchiuso in un pezzetto di pane. Semplice, essenziale, Pane spezzato e condiviso, l’Eucaristia che riceviamo ci trasmette la mentalità di Dio. E ci porta a dare noi stessi agli altri l’antidoto contro il “mi spiace, ma non mi riguarda”, contro il “non ho tempo, non posso, non è affare mio”. Contro il guardare dall’altra parte”.