Guerra Cabo Delgado, Mozambico: “tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa”

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20220613 CDelgado

Mons. Inácio Saúre, Missionario della Consolata, arcivescovo di Nampula e Presidente della Conferenza Episcopale del Mozambico, parlando del conflitto che dissangua la Província di Cabo Delgado (nella parte settentrionale del paese), ne sottolinea principalmente la complessità. 

Al principio la guerra era stata una campagna militare atroce caratterizzata da crudeltà, massacri, omicidi, decapitazioni e sfollati che hanno raggiunto anche le Province vicine. Poi ultimamente la controffensiva delle truppe alleate promosse dal Comitato per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC) e dall’esercito nazionale sembra aver riportato certa sicurezza nella regione anche se continuano sporadici attacchi delle truppe ribelli. Anche se sembra ristabilito il controllo dello stato è ancora presto per dire che tutto sia finito, c’è ancora tanta paura e tutti coloro che si sono visti obbligati ad abbandonare la loro terra non hanno ancora avuto il coraggio di tornare. Quindi resta drammatica una delle conseguenza di questa guerra: l’altissimo numero di sfollati che, si calcola, potrebbero essere circa 800 mila; 65 mila nella sola città di Nampula. 

Tutto questo crea una grande situazione di insicurezza, instabilità e povertà, poiché gli sfollati lasciano le loro case completamente privi di tutto e dove arrivano non niente per ricominciare. “È stato necessario molto lavoro -confessa Mons. Inácio- per avvicinarsi a queste persone, offrire un aiuto e farli sentire accolti. Il numero è così grande che tutti gli sforzi che abbiamo fatto sembrano solo una piccola goccia d'acqua nell'oceano”. A Nampula Caritas diocesana ha lanciato progetti che prevedono la costruzione di alloggi, la distribuzione di cibo, medicinali e prodotti agricoli, "ma è comunque poco quello che possiamo fare con le nostre forza limitate".

Nella vita delle comunità cristiane uno degli effetti del conflitto di Cabo Delgado è che almeno sei chiese su sette sono ancora chiuse alle attività pastorali a causa degli attacchi terroristici. Ma gli sfollati della guerra sono seguiti pastoralmente dalle parrocchie delle zone in cui si stabiliscono: “i nostri fedeli si sono dimostrati molto accoglienti e stanno cercando di fare tutto il possibile per inserire i nostri fratelli provenienti dalla sfortunata provincia”.

Per poter intravedere la fine di questo conflitto armato è importante conoscerne i motivi e non dimenticarsi della sua esistenza: “Nessuno deve rimanere indifferente, nessuno pensi di non poter fare nulla -conclude Mons. Saúre- uniamo le mani per lavorare insieme per la pace, le autorità civili e noi stessi come Chiesa: ognuno cerchi di fare la sua parte, tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa”.

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