Bambini soldato

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Intervista a sua ecc.za Mons Luis Augusto Castro Quiroga
arcivescovo di Tunja
e presidente della Conferenza Episcopale Colombiana

Prima di illustrare le diverse cifre e le opinioni di diverse fonti, offriamo un’intervista a Sua Ecc.za Mons.Luis Augusto Castro Quiroga, Arcivescovo di Tunja e Presidente della Conferenza Episcopale Colombiana, che è delucidativi della situazione che vive il paese, della violenza che soffrono i minorenni, delle difficoltà per reinserirli nella società e delle nuove speranze per gli sfollati.

I numeri che offrono le associazioni di diritti umani oscillano tra 11 mila e 14 mila bambini in armi. E’ realistica questa cifra?

Forse è un po’ elevata, perché le organizzazioni armate hanno un numero totale di membri non superiore a 20 mila, ma la maggioranza non sono bambini soldati. Forse se uniamo tutti quelli coinvolti nel conflitto, come autodifese, Farcs, Eln, possiamo arrivare ad una cifra che, benché sembri gonfiata, può avvicinarsi alla realtà.
Per quel che riguarda i paramilitari e la guerriglia i dati della Chiesa colombiana sono di circa 6mila bambini effettivamente arruolati. Chiaramente è molto difficile ottenere dati concreti.

Si parla di molte modalità di violenza contro i bambini. È realmente così?

I casi di violenza contro i bambini sono molti. In primo luogo appare manifestamente il fatto che sono obbligati a stare in una guerriglia. Per questo motivo, i bambini che stanno nella guerriglia non sono considerati ribelli in armi, bensì semplicemente vittime della stessa guerra; e quando sono fermati entrano in un processo di rieducazione e non in di prigione.
Sono inoltre vittime a causa di molte altre cose, poiché sono obbligati ad ammazzare, a perdere coscienza circa il valore della vita altrui. Sono vittime perché sono obbligati a perdere il contatto con le proprie famiglie, a soffrire abusi sessuali, come succede specialmente nel caso delle bambine.
Sono vittime perché hanno sottratto loro le possibilità di formazione ed educazione. Semplicemente imparano ad usare un arma. Il fucile va a sostituire la figura materna, è la sostituzione della mamma, il fattore di sicurezza, d’identità, di futuro. Senza fucile non sanno cosa fare. Il fucile dà loro sicurezza, considerato che nella guerriglia essi sanno che non possono fidarsi di nessuno. Sono vittime perché nell’ambiente della guerriglia diffidano di tutto, non possono, né sanno fidarsi di nessuno, ricevono sempre ordini e non sanno agire con autonomia.

Come è il processo di riabilitazione di un bambino che è stato assimilato alle milizie irregolari?

La loro riabilitazione è molto più complicata rispetto a delle persone adulte. Comincia col processo di smobilitazione, cioè di consegna delle armi da parte dei guerriglieri o paramilitari, e tra essi ci sono tanti bambini. Detto processo deve essere seguito da un altro che si chiama reinserimento, fase difficilissima ma necessaria perché altrimenti finirebbero come delinquenti comuni. Hanno imparato ad usare le armi, ad ammazzare e lo raccontano con una tale semplicità come se fosse stato soltanto un gioco. Hanno perso il senso etico e il significato della vita.
Qui noi abbiamo un centro di reinserimento e quelle problematiche le vediamo tutti i giorni. Vi racconto per esempio un caso recente: quello di una bambina che fu difficile riuscire a convincere di recarsi al salone di bellezza perché aveva perso perfino la sua femminilità..

Come può l’Unione Europea aiutare ai bambini vittime della violenza?

Il lavoro dell’Unione Europea è stato fantastico. Mi sono riunito diverse volte con gli ambasciatori di diversi paesi che hanno mostrato un interesse reale. Sanno essere critici quando bisogna esserlo ed appoggiano quello che merita essere appoggiato.

Sulle adozioni a distanza che risultato hanno dato?

Sulle adozioni a distanza, non sono un specialista, ma so che sono molto positive.

C’è qualche speranza che qualcosa cambi per questi bambini soldato?

Tra i principali risultati sta il fatto che per la prima volta in Colombia si sta pensando alle vittime della violenza. Finora allo Stato ciò che interessava sapere delle vittime, è chi fosse violento e quanti anni di punizione dovesse dargli. Ora invece si pensa ad aiutare le vittime della violenza, perfino stanziando un fondo speciale per questi casi. In Colombia ci sono tre milioni di dislocati, vale a dire di persone che dovettero emigrare per salvare le loro vite. Di questi, un milione sono bambini, ed una volta disambientati trovano difficoltà per tornare a studiare e reinserirsi nella società che li accoglie e che molte volte li osserva con sfiducia.


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